Corriere della Sera

Renzi verso le dimissioni: non farò il bersaglio per mesi

Telefonata a Padoan per invitarlo alla direzione dem e dare la linea: nessuna manovra, non cedere con la Ue

- D. Mart.

«Non ci sto a fare il bersaglio per mesi», avverte il segretario del Pd (con una frase riferita da Unità Tv), rafforzand­o le voci delle sue dimissioni dal vertice del partito per aprire la strada a un congresso anticipato e per regolare i conti in casa Dem entro settembre. Sarebbe questa, secondo l’ultimo bollettino di guerra del Nazareno, la data utile per portare l’Italia al voto: dopo le assise del Pd e prima della legge di Stabilità che si annuncia particolar­mente onerosa per gli italiani (ma in contempora­nea con le elezioni tedesche che potrebbero produrre forti toni anti-italiani).

E tanto per rimanere con l’occhio rivolto all’Europa, Renzi ha fatto sapere di aver telefonato al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per invitarlo alla direzione del Pd che si terrà lunedì: perché lo vuole accanto, davanti al partito, quando illustrerà la sua «road map» che si basa su tre punti: no alla manovra anticipata, no all’aumento delle tasse, sì a una trattiva fino allo sfinimento con la Ue che ci chiede di metter in ordine i conti. E Padoan — non iscritto al Pd e ministro dell’Economia di un governo in carica che tutti i giorni deve far quadrare i conti, anche con l’ipotesi di aumento delle accise sui carburanti — è stato invitato alla direzione del Pd nella quale Renzi darà la linea.

Che il Nazareno si stia preparando per un assalto in grande stile lo dimostra anche la mozione presentata da Edoardo Fanucci e da altri deputati di stretta fede renziana: «No all’aumento delle tasse» e, parafrasan­do il segretario, «no a un’Europa che manda letterine sullo 0,2%...». Dunque, Renzi manda a dire tramite i suoi parlamenta­ri che le accise non si toccano e che la manovra da 3,4 miliardi che ci chiede l’Europa non si deve fare: perché con la Ue va concordata una correzione dello 0,1% sul Pil e non dello 0,2% e ciò che mancherebb­e da questi conti va raschiato dal recupero dell’evasione fiscale.

Sullo sfondo di questo ragionamen­to ci sono tre elementi, non trascurabi­li: la durata del governo Gentiloni, la legge elettorale, da fare alla luce della bocciatura dell’Italicum Il presidente Grossi: «La Corte non ha nessuna voglia di fare le norme, ora tocca al Parlamento» motivata dalla Corte, la data delle elezioni». Il presidente della Consulta, Paolo Grossi, ha parlato all’Accademia dei Lincei e ha cercato di evitare riferiment­i all’attualità ma poi, ragionando su una eventuale legge sulla dissenting opinion (che lui sconsiglia per la Consulta), qualcosa si è lasciato sfuggire: «Grazie a Dio, ci dovrà pensare il Parlamento. E lo dico dopo la sentenza sull’Italicum. La corte non ha nessuna voglia di fare la piccola legislatri­ce: non è suo compito fare le norme, è compito del Parlamento».

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