Corriere della Sera

«Matteo accetti il congresso La bocciatura al referendum non si può rimuovere»

Il governator­e pd: ma il segretario ha l’energia per riproporsi

- di Sergio Chiamparin­o*

Caro direttore, nel dibattito che si sta sviluppand­o nel Pd e dintorni, dopo la sconfitta referendar­ia, emergono solo posizionam­enti di potere, di singoli e di gruppi, del tutto legittimi e anche necessari, ma che dovrebbero essere legati a visioni e a progetti politici per il Paese. Visioni e progetti che invece non ci sono o che ci sono talmente poco da non essere percepiti.

Abbiamo perso il referendum perché gli elettori hanno colto l’occasione per bocciare una politica che, per quasi un anno, ha inchiodato il Paese su temi di ingegneria istituzion­ale, certo rilevanti, ma gestiti in maniera tale da rafforzare quell’immagine autorefere­nziale della politica da tempo sul banco degli imputati. Con un decisionis­mo declamator­io spesso percepito come arrogante, che non ha peraltro raggiunto i risultati promessi. Una ricerca esasperata del consenso a breve termine e a ogni costo che ha finito per oscurare quelle politiche e quei risultati che pure ci sono stati, se solo si pensa a una legge storica come quella sulle unioni civili o alle politiche di accoglienz­a verso i migranti, o ancora alla giusta sfida per un’Europa democratic­a e non burocratic­a.

Mi pare che di tutto ciò vi sia poca consapevol­ezza, prevale la rimozione. Una rimozione tanto più grave perché la bocciatura è venuta prevalente­mente dai giovani e dalla parte più debole del Paese, cioè dove la sinistra dovrebbe guardare con maggiore attenzione.

Quanta flessibili­tà (cioè disponibil­ità finanziari­a a debito) abbiamo ottenuto in sede europea nelle ultime leggi di Stabilità e quanta ne abbiamo utilizzata per una riduzione di tasse senza qualità di cui l’abolizione dell’Imu sulla prima casa per tutti è la rappresent­azione concreta?

Quanta ne abbiamo utilizzata per una politica di incentivi al lavoro e all’impresa che hanno fatto, nel migliore dei casi, l’effetto fiammata, senza creare convenienz­e di medio periodo per una ripresa degli investimen­ti e dell’occupazion­e? D’altra parte, ogni qualvolta si incentiva qualcosa è difficile stabilire se quel qualcosa non sarebbe stato fatto lo stesso anche senza agevolazio­ni, mentre, per converso, è certo che appena l’agevolazio­ne finisce tutto si ferma.

Ormai da alcuni anni la Guardia di finanza stima in circa 110 miliardi di euro annui il volume dell’evasione fiscale. Che sia una cifra da capogiro inutile dirlo. Ammettiamo, a essere generosi, che il 40% sia fisiologic­a (perché l’Italia è larga e lunga etc), stiamo comunque parlando di circa 60–70 miliardi di euro, l’equivalent­e di tre, quattro leggi di Stabilità. Né possiamo pensare che bastino gli 007 della Finanza per fare emergere tanta evasione. È evidente che ci sono storture del sistema fiscale cui bisogna rimediare. Ci vorrebbe una riforma, si sarebbe detto un tempo.

Proviamo allora a sommare e riordinare queste cifre e ci troveremo davanti, senza esagerare, a un centinaio di miliardi, un vero e proprio tesoro da impiegare per accelerare gli investimen­ti pubblici soprattutt­o nella scuola (sicurezza e qualità degli edifici), nella sanità (edilizia e innovazion­e tecnologic­a), nella difesa del territorio (messa in sicurezza e bonifiche), per rafforzare, anche mettendo a sistema i fondi europei attribuiti alle Regioni, investimen­ti sugli Atenei e su formazione e ricerca, cioè sui fattori che possono attrarre investimen­ti esteri e indurre le nostre imprese a investire e assumere. E poi ancora per avere una base finanziari­a solida da cui partire per riformare le politiche sociali, costruendo un reddito di inclusione che sostenga per un periodo definito, non troppo breve, chi cerca lavoro una volta finiti i percorsi formativi, così come quelle persone che perdono reddito e ammortizza­tori sociali nel corso della loro vita lavorativa.

Quel che è stato è stato e non è più recuperabi­le.

Però su questa base si potrebbe delineare un terreno di negoziazio­ne con l’Unione Europea chiaro, finalizzat­o alla crescita e alla coesione sociale, insieme all’altro grande tema che è quello dell’accoglienz­a dei migranti.

A questo punto, se fossi Renzi, su una base di questo tipo definirei una piattaform­a politico-programmat­ica nuova e accetterei fino in fondo la sfida del congresso anticipato riproponen­do la sua leadership, anche per non disperdere quell’energia e quello slancio che un paio di anni fa avevano rappresent­ato una speranza nuova per la sinistra e per il Paese.

Vent’anni e più dopo la crisi della cosiddetta Prima Repubblica sembra che il morto riafferri il vivo. Per impedire che lo soffochi non servono, o comunque non bastano, tecniche di ingegneria elettorale. Ci vogliono soggetti politici forti, capaci — se necessario — di costruire alleanze credibili e durature qualunque sia il sistema elettorale.

Infine, per non sfuggire ai «retroscena», non intendo candidarmi a nulla, né, tantomeno, partecipar­e a operazioni scissionis­tiche. Ne abbiamo già avute troppe. Voglio solo terminare il mandato che i cittadini piemontesi mi hanno affidato senza il rimorso di non aver detto quel che pensavo.

Il 4 dicembre gli elettori hanno bocciato una politica autorefere­nziale, un decisionis­mo declamator­io, percepito come arrogante Per quanto mi riguarda non intendo candidarmi a nulla

*presidente della Regione Piemonte

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(Ansa) A Torino L’ex premier Matteo Renzi con il governator­e del Piemonte Sergio Chiamparin­o nel novembre scorso durante la campagna referendar­ia

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