Pochi crimini, troppe celle vuote Affittasi penitenziario in Olanda
Calano i reati, Belgio e Norvegia inviano detenuti, 12 strutture ospitano rifugiati
Questa prigione non è una prigione. Nel cortile centrale si gioca a calcio, i cancelli s’aprono e chiudono a piacere, i panni stesi, la sala del barbiere, le lavatrici in funzione, i corsi per imparare ad andare in bicicletta. Vuoto di detenuti, il complesso De Koepel ad Haarlem, periferia occidentale di Amsterdam, è stato convertito in centro d’accoglienza per rifugiati e il reporter dell’Ap Muhammed Muheisen, che l’ha fotografato per sei settimane, l’ha trovato meno angosciante del previsto. S’immaginava che per siriani, afghani, iracheni, una coppia yazida, un ragazzo marocchino omosessuale, una cinese cristiana, e per tutti gli altri donne, uomini e bambini in cerca di protezione faticosamente arrivati fin qui, potesse essere inquietante l’alloggio in carcere. Invece le uniche lamentele che ha sentito ripetere — ha raccontato alla rivista Time — riguardavano la qualità del cibo.
La vera storia è un’altra: l’Olanda ha così tanti penitenziari inutilizzati che può permettersi di trasformarne dodici in strutture per rifugiati. E addirittura riesce a mettere a reddito le celle vuote affittandole ai Paesi vicini, dalle carceri sovraffollate. Il Belgio ha già da tempo trasferito oltreconfine 500 detenuti, la Norvegia ha siglato un accordo da 25 milioni di euro l’anno per prendere in prestito il complesso di Norgerhaven: 240 reclusi, una sala Skype per parlare coi parenti, direttore inviato da Oslo, guardie carcerarie rigorosamente olandesi. È così estesa la «crisi delle prigioni» che s’è aperta pure una questione sindacale per i 2.600 la-
voratori che rischiano il posto alla prossima chiusura.
Di 60 penitenziari l’Olanda ne ha già svuotati 19. Uno dei primi, la storica casa circondariale di Roermond, è ormai un boutique hotel con la stanza del Giudice e la suite De Cipier, «il secondino». Per il 2021 l’amministrazione prevede di dichiarare
un esubero di 3.000 celle. Dove sono finiti i criminali di un tempo?
Il New York Times l’ha chiesto al criminologo dell’Università di Erasmus, a Rotterdam, René van Swaaningen, che per cominciare spiega una mentalità pratica e poco moralista. «Le prigioni sono costose», se esistono
pene alternative, programmi di riabilitazione, braccialetti elettronici e così via, nei Paesi Bassi sono favoriti. In cella finiscono solo i detenuti considerati davvero pericolosi. Il professore aggiunge anche che negli anni Novanta il boom immobiliare ha portato alla costruzione di più strutture del necessario. Nel mentre, i tassi di criminalità sono crollati: ridotti di un quarto in nove anni, 61 reati ogni 100 mila abitanti. In Gran Bretagna è il doppio, negli Stati Uniti cento volte di più. Dal 2005 a oggi la popolazione carceraria si è ridotta del 43 per cento.
In parte, il crollo è dovuto al fatto che molti reati che affollano le carceri europee, come quelli legati alla droga (si pensi all’Italia) o alla prostituzione, in Olanda sono depenalizzati. In parte, è un problema di polizia. Un servizio della tv britannica Bbc ha raccolto il dubbio della giurista Pauline Shuyt, a Leiden, che spiega il picco delle detenzioni del 2005 con le grandi operazioni contro il narcotraffico all’aeroporto di Amsterdam. «Da allora, le indagini si sono spostate sull’immigrazione clandestina e il terrorismo». S’aggiungano i tagli ai commissariati e alle risorse degli inquirenti.
S’apre un’ultima questione — la ragione per cui il governo di centrodestra di Mark Rutte è riluttante a pubblicizzare il calo dei crimini —: il rischio di una carenza nel sistema di sicurezza del Paese. Sommando la questione sindacale, al New York Times il portavoce del ministero della Giustizia, Jaap Oosterveer, confessa: il surplus di celle «è al tempo stesso una buona e una cattiva notizia».