Corriere della Sera

Antonio e quella sera in cui suo padre sparì «Lo trovammo in foiba due anni più tardi»

- Corriere archivio.corriere.it Dino Messina

«Vuol sapere perché mio padre Domenico è finito in foiba? Perché era italiano. Un artigiano bravissimo, viveva a Dignano d’Istria, non lontano da Pola, faceva il pellaio e realizzava su ordinazion­e scarpe borse, portafogli. Non aveva mai voluto la tessera fascista. Ma quando dopo l’8 settembre arrivarono i tedeschi, lui accettò di lavorare per loro come interprete. Era stato soldato con gli austriaci nella Grande Guerra e parlava bene la loro lingua».

È un fiume in piena Antonio Toffetti, classe 1936, per quarant’anni meccanico nell’azienda trasporti di Trieste. È appena rientrato dalla manifestaz­ione alla foiba di Basovizza, dove ieri, 10 febbraio, anniversar­io del Trattato di Pace firmato a Parigi nel 1947, è stata celebrata il Giorno del Ricordo, istituito con legge dello Stato dal 30 marzo 2004. «Mio padre — continua Toffetti — non fu ritrovato lì, a Basovizza, dove la cavità carsica fu ricoperta con tonnellate di materiale dai titini, ma a poche centinaia di metri, nella foiba Plutone, un buco di 112 metri dove nel giugno 1947 furono recuperati 21 corpi».

Domenico Toffetti non era stato vittima della prima ondata di violenze anti-italiane dell’autunno 1943, fu catturato durante i 40 giorni di Trieste (2 maggio-9 giugno ‘45), quando la città era sotto l’occupazion­e jugoslava. «Mia madre e io eravamo stati mandati a Trieste in casa di una zia già nel 1944, perché in Istria era troppo pericoloso. Mio padre ci aveva raggiunti nel 1945 e un giorno di maggio era stato convocato negli uffici della polizia segreta titina, la Ozna e Su Corriere.it Tutti gli articoli pubblicati sulle foibe dal sono sul database poi rilasciato dopo un lungo interrogat­orio. Ma una sera, il 17 maggio, non rientrò. Gli jugoslavi avevano caricato due camion di gente da far sparire. Gli inglesi ne intercetta­rono uno, mio padre era nell’altro, destinato alla foiba Plutone».

Lì il rito macabro ripetuto per migliaia di vittime, le mani legate e agganciate a un sasso, gli spari, il salto nel vuoto. «Una mattina di due anni dopo mia madre fu chiamata per il riconoscim­ento. A un mio zio andò ancora peggio, perché vestiva una divisa militare e venne bruciato vivo in una piazza di Dignano: un rogo cui assistette il figlio, un mio cugino, che me lo ha raccontato».

Toffetti fa una pausa, è difficile stargli dietro nel racconto, poi aggiunge: «Racconto queste cose non per fomentare l’odio ma perché non si ripetano. Il 10 febbraio 2007 sono stato ricevuto dal presidente Napolitano al Quirinale con altri parenti delle vittime, cui è stata assegnata una medaglia. È stato per me uno dei giorni più belli: finalmente, dopo anni di silenzio si poteva parlare del nostro dramma».

Gli italiani finiti nelle foibe o uccisi dopo processi sommari

dalla polizia titina furono oltre diecimila, oltre 300 mila i profughi da Istria e Dalmazia. La legge del 2004 ha posto fine a una lunga rimozione.

Ieri il Giorno del Ricordo è stato celebrato in tutta Italia e a Montecitor­io, dove è stato letto un messaggio del presidente Sergio Mattarella: «L’Europa della pace, della democrazia, della libertà, del rispetto delle identità culturali, è stata la grande risposta agli orrori del Novecento, dei quali le foibe sono state una drammatica espression­e». Erano presenti i ministri Angelino Alfano, Anna Finocchiar­o e Beatrice Lorenzin, figlia di esuli. La tragedia delle foibe è stata ricordata anche dal presidente del Senato Pietro Grasso e dalla presidente della Camera Laura Boldrini.

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