Corriere della Sera

Esuli cacciati da Tito

- Luciapuurs@hotmail.com Umberto Brusco

«Fino all’ultimo guardai l’amico che, senza mai agitare la mano, diventava sempre più minuto. Quando si ridusse a un grigio puntolino, capii che il mio esilio era cominciato davvero». Parole prese a prestito da Enzo Bettiza. Nel giorno del ricordo delle vittime del regime comunista di Tito, non posso non ricordare la storia della mia famiglia. Ieri come oggi cittadini sparsi qua e là. Per mio nonno l’esilio fu forzato. Noi altri abbiamo scelto di spostarci, ma sempre senza gettare ancore. Forse qualcosa si trova scavando nel passato … a Ragusa, una volta italiana, oggi nota come Dubrovnik. Lucia Marinovich

Ringrazio tutti i lettori che mi hanno raccontato storie del Giorno del Ricordo, celebrato ieri. Ci manca un pezzo d’Italia, a molti manca la memoria delle sofferenze ingiuste patite da centinaia di migliaia di italiani.

LEGGI ELETTORALI

Cominciamo a costruire Caro Cazzullo, credo che parlare degli scenari aperti dalla sentenza Italicum sia di comune interesse. La sentenza è ottima a leggerla con occhio attento giuridico e politico. Sono sicuro che la maggioranz­a dei commenti sarà di critica da sinistra, mentre è una guida per sollevare tutte le questioni in sospeso, compreso premio di maggioranz­a al primo turno e capilista bloccati.

Felice C. Besostri Caro Besostri, mi ricordo di lei. Vent’anni fa, giovane cronista, mi colpì trovare un parlamenta­re competente e pacato. Ora lei è diventato un personaggi­o di culto come distruttor­e di leggi elettorali; e il Porcellum lo meritava. Ma ora bisogna costruire; e quello non è compito della Corte.

«PORTA GREGOTTI»

Chiusa per il freddo Lo scorso ottobre, in pompa magna, la Pinacoteca di Brera inaugurava la «Porta Gregotti». «Finalmente un ingresso di degno livello», si disse. La scorsa settimana, recandomi in visita, notavo la porta chiusa: l’entrata era ancora dal vecchio, tortuoso ingresso. Alla mia richiesta in merito, la risposta è stata: «Il personale della biglietter­ia sentiva freddo…».

Mario Rosi, Cormano Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

mi spiega perché la tv di Stato ci propina questi siparietti e mezza Italia li guarda? Parlo di Sanremo. Faccio zapping come non mai. Che tristezza!

Caro Umberto,

HBardolino (Vr)

o ricevuto molte lettere su Sanremo, quasi tutte critiche. Tanti fanno notare che ormai è uno show televisivo, non un festival della canzone; e in effetti da qualche anno il livello è bassino, a parte eccezioni destinate a essere premiate (direi la Mannoia, il gigante nero Sylvestre, il simpaticis­simo Gabbani). Ma Sanremo non va mai sottovalut­ato. È talora lo specchio degli umori degli italiani. Nel 2011 ad esempio Benigni e la sua cavalcata con tricolore cambiarono la percezione dei 150 anni dell’unità nazionale; e la vittoria di Vecchioni, con un testo palesement­e antiberlus­coniano, era il segno che il vento stava cambiando. Il Corriere mi mandò a raccontare — con colleghi bravissimi: Maria Volpe, Mario Luzzatto Fegiz, Andrea Laffranchi — l’edizione del 2004. Allora Berlusconi era trionfante; corse voce che avrebbe pure cantato. Venne invece Celentano, e in difesa del discusso patron Tony Renis disse: «Chi non ha avuto amici delinquent­i?». Paolo Ermini, allora vicedirett­ore, mi suggerì: «Intervista Masini, che vince il festival». Masini raccontò di come aveva sconfitto una diceria stupida e crudele, e vinse il festival. Quattro giorni dopo ero nella Spagna sconvolta dalla strage di Al Qaeda, e le assicuro caro Umberto che i siparietti di Sanremo mi mancarono moltissimo. (Due anni dopo Ermini previde clamorosam­ente pure la vittoria dell’Italia ai Mondiali). È il bello e il brutto di un mestiere che coincide con la vita. Seguire da vicino il festival è molto divertente: non si dorme mai, una città un po’ sonnacchio­sa come Sanremo è aperta a qualsiasi ora, gli artisti hanno storie interessan­ti. Masini l’altra sera ha fatto rivivere Faletti e il suo «Signor tenente»; e De Gregori, che a Sanremo non è mai venuto – «Guarda che belli i fiori della città/che mai mi ha visto e mai nemmeno mi vedrà» – ha potuto ascoltare in tv tre sue canzoni. Lucio Dalla aveva giurato di non venire mai più, da quando si era suicidato il suo vicino di stanza, Luigi Tenco. È tornato al festival nel 2012, è ripartito la domenica stanco e deluso, il martedì se n’è andato per sempre. Sono passati cinque anni, ci manca molto.

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