Un tessuto (tecnico) dalla pianta del ricino I nuovi eco-brevetti
Carlo Freddi: «Morbido, traspirante e super stretch Faccio tutto in Italia, speriamo non mi copino subito»
brevetti sono un po’ il segreto del successo di Freddy. Tanti, da tutelare registrare nel diversi Paesi con cause e spese consistenti «a volte a sei zeri». L’ultimo brevetto, in fase di completamento, riguarda un tessuto innovativo, biologico al 100%, ricavato interamente dai semi della pianta di ricino. «La cosa bella è che non solo rispetta l’ambiente, ma ha caratteristiche perfette per lo sport», dice Carlo Freddi, presidente e fondatore dell’azienda Freddy nata nel 1976. Oltre al confort il nuovo tessuto offre traspirazione elevata, tempo di asciugatura veloce, termoregolazione ed batteriostaticità. Senza dimenticare la biodegradabilità. Zero plastica nella sua trama.
La prima collezione biologica a base di ricino (e degradabile) sarà presentata a settembre e riguarderà i capi da donna. Un inizio. «È la punta dell’iceberg, poi ci occuperemo dell’uomo» precisa Freddi. Il vegetale, punto di partenza, si coltiva a zero impatto sulla catena alimentare umana e animale (non lo mangia nessuno) e anche in zone aride, riducendo il consumo di acqua. E per la produzione industriale ha bisogno di meno energia (-20%). In più, è morbido e super-stretch, esteticamente indistinguibile da quello più «tradizionale» dei competitor, se non si va a scavare nella composizione dei materiali. I particolari è meglio non comunicarli: «Altrimenti finisce che noi usciamo dopo quelli che ci copiano».
Un’altra novità è lo spostamento della produzione. «Si fa interamente in Italia — dice Freddi — perché desidero far ripartire il comparto tessile nel nostro Paese: abbiamo un know-how che non dobbiamo perdere».
Tutte vogliono essere carine in palestra o in strada durante il jogging. I brand che propongo abbigliamento sportivochic non mancano. Ma chi, fra i primi, ha avuto l’idea dell’outfit tecnico ed elegante al tempo stesso è stato Freddi. «Lo abbiamo capito 40 anni fa», spiega. Basta un dettaglio sfizioso per sentirsi più belle. Una tasca al posto giusto, una cucitura a contrasto, un gioco di colori. I suoi leggings più famosi si vedono a lezione di pilates come nello street-style. «Perché valorizzano ogni genere di silhouette — precisa — migliorando le forme di qualsiasi taglia. Voglio pensare che siano come la Coca-Cola, ma dentro ci sono diversi brevetti».
Ora, la nuova sfida «green» va incontro alle richieste del mercato, sempre più attento ai capi eco-friendly, lavorati senza composti chimici nocivi. La parola «naturale» risulta vincente. «I giovani sono sensibili ai problemi etici e ambientali. Adesso che siamo sui social network ci confrontiamo ogni giorno con loro, ascoltando i commenti, i complimenti e le reazioni negative. Dobbiamo sapere quello cercano per poter mantenere le promesse che facciamo. Soltanto così i clienti si fidelizzano e comprano ancora il marchio: sanno di non rimanere delusi».
Tra le novità le scarpe Feline da donna, lanciate a gennaio, con la suola che lascia sul terreno l’impronta del felino durante la corsa. Un vezzo? «Sono un appassionato di antropologia e preistoria — sottolinea il top manager — per cui so che il ghepardo è strutturato per correre da milioni di anni di evoluzione. Così, ho voluto imitare questo animale il più possibile. La scarpa ha tre zone di diversa densità, una per il grip, una per la flessibilità e una per la stabilità. Poi la suola a forma di zampa aiuta nel movimento, non ha soltanto una funzione estetica, ma simula il passo del felino. Certo, il ghepardo possiede anche la coda che gli dà equilibrio. Ho provato a farla, ma non ci sono riuscito». «Rinnovare il pubblico — dice Carlo Giordanetti, direttore creativo Swatch che, tra andate e ritorni, lavora per il brand dal 1987— è sempre stata la sfida più grande. Esiste sempre una comunità di collezionisti, ma anche un nuovo mondo che si muove per segmenti e crea il proprio perimetro di collezionismo. Anche perché ormai con 8 mila modelli diventa impossibile collezionarli tutti». Un universo, quello di Swatch, creato anche con l’aiuto degli artisti per gli speciali come, per esempio, il primo orologio di San Valentino proposto per il 2017 in edizione limitata e numerata (14.999 pezzi) disegnato dal fumettista argentino Guillermo Mordillo, ma soprattutto immaginato a più menti da un collaudato team interno. «Creare una collezione vincente ogni anno — prosegue Giordanetti — richiede un grandissimo lavoro di ricerca, di pari passo con le ultime tendenze e il mondo della moda. Per questo abbiamo messo insieme un gruppo con competenze (dalla composizione cromatica alla grafica) e nazionalità diverse (dalla Slovenia fino alla Corea)». Un team affiatato che lavora per rendere unico nel suo genere ogni orologio. «Ogni nostro prodotto — sottolinea il creativo — rispecchia alla perfezione la mentalità italiana perché oltre a un concetto estetico molto forte ci sono dietro la storia e la cultura». Caratteristiche che presto verranno declinate anche in un nuovo fenomeno sempre più in voga: la personalizzazione. «Ci siamo avvicinati da poco — dice Giordanetti — all’universo del digitale. Un mondo che per Swatch sta diventando sempre più importante perché in qualche modo è il prodotto ideale tra la grande varietà di scelta e i prezzi abbordabili. In più, ci stiamo muovendo sulla strada della customizzazione perché alle persone piace tantissimo la possibilità di personalizzare gli orologi. Una novità che, in un certo senso, abbiamo già lanciato nei negozi con i piccoli accessori come, per esempio, i passanti con i messaggi». E senza contare, le innovazioni tecnologiche (ad esempio l’orologio con solo 51 pezzi al posto dei canonici 200 e passa), l’ottimizzazione dei movimenti o l’utilizzo di materie nuove tra le quali il silicone o le plastiche anallergiche, ma anche sulle colle. «Spesso — conclude — esistono una serie di innovazioni che sono quasi impercettibili per il consumatore, ma che concorrono a dare un grande risultato finale».