Amore, poi indifferenza Non riesco a perdonarla
Di solito non sono una persona che porta rancore. Ma stavolta potrei fare un’eccezione. Sentirsi dire dalla propria ragazza — sì, quella tanto sognata, cercata e alla fine trovata di cui ho scritto nel mio primo racconto — che non ti ama più ma che ti vuole «un bene dell’anima» è il peggior insulto. E nelle settimane precedenti al punto di rottura, ho sperimentato (o per meglio dire subito) un simpaticissimo luogo comune: la pausa di riflessione. Ah, che magistrale trappola di silenzio rivenduto come speranza! Una speranza di scarsa qualità, eppure l’ho accettata senza esitare. Ricordo una foto, fatta a una festa in quel periodo, dove accanto alla mia consueta espressione inebetita stava lei, occhi sbarrati su un volto degno di un giocatore di poker professionista. Solo riguardandola più tardi ho capito il significato della parola indifferenza. Ma era come se una parte di me mi coprisse gli occhi dinnanzi al quadro: una ragazza che mi considerava ormai una zavorra.
In fondo i miei amici, i miei genitori sapevano che la sorte della mia storia era segnata. Eppure continuavo a ostinarmi nell’impossibile, come un eroe tragico che lotta contro il Fato. «Eh queste pause si sa come vanno a finire», dicevo tra me. Ma subito dopo reagivo: «No, non stavolta! La mia storia non è come le altre, si aggiusterà». Altro cliché inesorabilmente vero. Perché è desolante sapere che la nostra sensazione di unicità, quel meraviglioso colore con cui l’innamorato ci dipinge separandoci dall’anonimo grigiore di tutti gli altri, non è che un gioco di probabilità. Sei un tipo socievole, sicuro, frequenti parecchia gente? Avrai qualche chance in più. Eccolo qui il nostro romanticismo. Certi poeti del web, dietro a versi come «sei la persona più fantastica, grazie di esistere» intendono «finalmente dopo tanto tempo che non la vedevo neanche col binocolo, una ci è cascata». Ma si sa, tradurre è un po’ tradire, per cui li lascio nella loro estasi.
È incredibile pensare quanto abbia svilito me stesso in questa situazione. Forse il mio rancore nasce da qui, da questa mia cessione volontaria di dignità. Dove diavolo erano finiti i miei sogni? Ma il mio sbaglio più grosso è stato delegare le mie ragioni di felicità a qualcun’altro. Per un anno ci siamo ripetuti di essere l’uno il supereroe dell’altro. Ora in verità, non mi sento alcun superpotere addosso, ma va bene così. Ho riconosciuto le mie colpe anche più del dovuto. Ciò non significa che mi sia perdonato. E se mai un giorno dovessi perdonare lei, sarà per mio egoistico benessere. Tiro avanti e non mi farò più abbindolare così facilmente. Fino a quando mi innamorerò ancora.