AVANGUARDIA PER LE MASSE
LEGGERO E SOFISTICATO, IL GUSTO DELL’ART DÉCO RESE ACCESSIBILI A TUTTI LE INQUIETUDINI DEL ‘900 L’appuntamento A Forlì una ricca mostra sullo stile che conquistò l’Europa nel secolo scorso. E dove l’architettura valorizzò i luoghi del divertimento e del
«Il glamour è la cifra del Déco (..) ma il fenomeno è anche molto più di questo, poiché il Déco non è solamente un modo di progettare e di realizzare oggetti, decorazioni, ambienti, architetture, ma è un sistema di segni, un linguaggio». L’incipit del saggio introduttivo di Valerio Terraroli, curatore della mostra dedicata al Déco in Italia e uno degli esperti più interessanti nella rilettura dei primi trent’anni della nostra storia figurativa, individua un elemento profondo che consente di tenere insieme storie ed esperienze formali apparentemente così lontane tra di loro.
I primi decenni della vita culturale e artistica italiana del ‘900 sono un appassionante laboratorio in cui autori differenti hanno cercato di dare forma stabile a un sentire comune che emergeva con forza: il mondo nuovo di una modernità irresistibile, elettrica e metropolitana che attraversava ogni aspetto della vita delle città, che si gonfiavano di anno in anno di nuovi abitanti richiamati dal desiderio di una vita diversa.
La città è quel magnifico e terribile mostro che divora anime e regala sogni a una classe borghese che vuole abitare meglio, pretende servizi e macchinari all’avanguardia, usa il tempo libero per divertirsi e prendersi cura del proprio corpo. Il Déco, espressione artistica e culturale che traguarda la Prima Guerra Mondiale fino a lambire la fine degli anni Venti, diventa quel paesaggio di forme, materie, colori, linguaggi che mediano il linguaggio delle Avanguardie portandolo a un gusto più diffuso, comprensibile, solo apparentemente superficiale.
Questo «peccato originale» ha sancito la condanna morale della cultura vincente del Movimento Moderno relegando il Déco a un fenomeno di gusto piuttosto che a un’importante stagione di ricerche e sperimentazioni. Basta varcare le porte delle Terme Berzieri di Salsomaggiore con le decorazioni di Galileo Chini che riporta tutta la sensualità di materie esotiche del suo viaggio a Bangkok e che dopo alcuni anni diventeranno spunto per le scenografie di una Turandot scaligera. Il classicismo sofisticato e di capriccio virtuoso di Giò Ponti, Emilio Lancia, Piero Portaluppi, Giovanni Muzio e Tomaso Buzzi che popola con i loro mobili gli interni dei borghesi milanesi dando vita alle prime vere architetture «moderne» della città.
Il barocchetto lezioso del Cinema e Teatro Corso nel cuore di Roma disegnato nel 1917 da Marcello Piacentini, testimonia quanto lo stile della Secessione Viennese fosse diventato uno dei primi linguaggi d’avanguardia d’esportazione in un’Europa assetata di novità. In questi stessi anni i primi cinema a Parigi, Amsterdam, Stoccolma, Chicago e New York diventano una tipologia su cui gli architetti e i decoratori cercano di concretizzare il senso di stupore e bellezza moderna rappresentata da un arte così giovane e popolare.
Le luci multicolori dei vetri e dell’illuminazione elettrica si mescolano con le citazioni d’un Egitto misterioso rivelato dalla scoperta della Tomba di Tutankhamon nel 1922, gli stili classici e orientali vengono rimodellati in un esperanto di forme che esprime il meticciato prodotto dalla città moderna che ricompone lingue, culture e saperi differenti.
Non è un caso che proprio i cinema, gli impianti termali, i grandi hotel, le sale per la musica e gli stabilimenti balneari siano alcune delle opere plasmate dalla stagione Déco prima che si affermasse il duro e severo linguaggio del Movimento Moderno. Un sentimento leggero e gioioso, ricco e sofisticato, potente e irresistibile che cerca di dare forma alla voglia di piacere e divertimento che la nuova borghesia metropolitana cercava in questi luoghi cercando anche di rifuggire un mondo sempre più complesso e rumoroso.
L’Italia in questa fase storica
Psicologia urbana La città regala sogni a una classe borghese che vuole abitare bene e con «pezzi» unici Linguaggi Oggi gli architetti hanno ancora quel potere di parlare al cuore? Sembra di no
riesce a produrre opere uniche, figlie di una paradossale congiuntura tra l’intuizione di una modernità che si fa massa e un sapere antico che passa attraverso le mani e sguardi dei suoi artigiani. Oggi molte di queste opere sembrano avvolte da una patina malinconica dovuta all’incuria ignorante e all’amnesia collettiva di quel senso di gioia febbrile che segnò quel quarto di secolo.
Sembra che oggi l’architettura non abbia più quel potere e la forza di parlare direttamente al nostro cuore e ai sensi tutti. Un suggerimento per gli architetti che verranno?