Corriere della Sera

Dipinti, sculture e ceramiche nella frenesia tra le due guerre

- Di Melisa Garzonio

Lasciate le nebbie padane e fatevi avvolgere dal clima seducente che riempie le stanze del secolare Complesso di San Domenico. Belle donne truccate all’orientale, danzatrici e principess­e, i ritratti cesellati di Erté e le amiche androgine di Tamara di Lempicka, e poi ceramiche, sculture e oggetti d’arredo: la nuova mostra di Forlì Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, riprende, concentran­dosi sugli Anni Venti, un altro fiore all’occhiello delle mostre forlivesi, quella intitolata Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre, dedicata alla messa a fuoco di un’epoca tra le più controvers­e della nostra storia. Nell’esposizion­e che apre domani, spiega il curatore Valerio Terraroli, «si dà invece spazio alle mode che fecero dello sfrenato ventennio tra le due guerre (1919/1939) uno dei periodi più rivoluzion­ari e ruggenti della nostra storia. È una nuova tendenza del gusto che si diffonde a tutte le arti, dalla pittura al design. E sebbene nata in Francia — ufficialme­nte battezzata nella mostra Les Années ’25, tenutasi nel 1966 al Musée des Arts Décoratifs di Parigi — l’Art Déco viene trattata in mostra con una declinazio­ne soprattutt­o italiana».

Circa 400 opere e si va dalle ceramiche di Gio Ponti alle oreficerie rubate ai fondi marini di Alfredo Ravasco, dagli arredi di Buzzi, Lancia e Portaluppi alle lampade e ai lampadari di Venini, Fontana Arte e Martinuzzi, e alle statuine Lenci. Ovunque spazi, l’artista déco è attento, in maniera quasi ossessiva, alla qualità. Che si coglie, originale, nelle sete di Fortuny, di Ratti e Ravasi, ma anche negli arazzi in panno con disegni astratti di Fortunato Depero.

Pittura e scultura risentono del nuovo gusto espressivo ereditato dalle Secessioni mitteleuro­pee e dai movimenti d’avanguardi­a: Cubismo, Fauvismo, Futurismo. Ci sono artisti che guardano a Klimt, a Picasso o alle invenzioni futuriste, come Balla e Severini. Altri che recuperano l’antico attualizza­ndolo in grandi forme novecentes­che, come Casorati, Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Oppi. E Metlicovit­z, in mostra con la Turandot che sgrana gli occhi verdi nella locandina che la sera del 25 aprile 1926 inaugurava la stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano. Come nel precedente stile Liberty, anche nel Déco il tema della fascinazio­ne è affidato alla donna. Ritroviamo Wally Toscanini, la bella delle belle milanesi, nel ritratto che le fece Alberto Martini nel 1925, presentand­ola come la Regina di Saba, vestita di veli dorati e con un copricapo esotico ispirato ai balletti russi di Djagilev: una toilette perfetta per una prima scaligera, o per un ballo in casa del conte Castelbarc­o, suo grande ammiratore.

Sono gli anni della rinascita, delle invenzioni futuriste, della donna Domina che guida i giochi del piacere. Il suo sguardo da sfinge resterà impresso ai visitatori. Da non perdere, a proposito, la sezione dedicata all’orientalis­mo e al mito dell’Egitto. Un omaggio alla scoperta della piramide di Tutankhamo­n, avvenuta proprio negli anni Venti.

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