Papà Gere e il dramma del figlio assassino
L’attore in«The Dinner» tratto dal romanzo di Koch, già all’origine dell’italiano «I nostri ragazzi»
Sulla carta, avrebbe potuto essere un disastro. Il sempre più debordante Gérard Depardieu, immenso attore ma non cantante, alle prese con i delicati brani di Barbara, amatissima stella della canzone francese scomparsa vent’anni fa. Invece l’album «Depardieu chante Barbara» (etichetta Because) è straordinario, come il concerto che l’attore ha dato due sere fa al teatro parigino delle Bouffes du Nord accompagnato da Gérard Daguerre, il pianista degli ultimi 15 anni di attività della diva. Guerra di secessione (Coogan è un professore di storia, specialista del periodo), e che dovrebbe aiutare a capire l’egoismo e la rabbia che guida i personaggi del suo film, dove le donne si rivelano fin peggiori dei loro consorti. Ma che solo nell’ultima parte, più compatta ed efficace, riesce a trovare l’intensità che aveva fatto la fortuna del romanzo.
Di altra levatura il film ungherese A teströl és lélekröl (titolo internazionale On Body and Soul, Corpo e anima) che mette a confronto le solitudini di due impiegati di un macello, il direttore finanziario Endre e l’addetta al controllo qualità Mária, che grazie all’inchiesta di una psicologa aziendale scoprono di fare gli stessi sogni: essere dei cervi in un bosco innevato. La coincidenza inizia a scardinare le loro difese, soprattutto quelle della donna, che soffre di una specie di autismo dei sentimenti: evita ogni passione perché non sa come reagirvi e ogni contatto fisico perché la spaventa.
Con bella sensibilità e una discreta dose di ironia la regista Richard Gere (foto sopra nel film), 67 anni, è nato a Filadelfia: ha raggiunto il successo nel 1980 con «American Gigolo» Ildikó Enyedi segue il percorso di «apprendimento» di lei e l’abbandono della solitudine di lui con minuziosa precisione (da entomologo si potrebbe dire) e con una messa in scena precisa e ordinata, che trova nei due protagonisti Alexandra Borbély e Morcsányi Géza i perfetti interpreti di questa avarizia di sé e dei propri sentimenti che sembra la vera malattia di questi anni. A fare come da contrappeso al grigiore quotidiano e all’inevitabile crudeltà del luogo di lavoro (anche se meccanicizzati i macelli mantengono una carica di violenza e di disgusto inestirpabile) ecco il fascino impalpabile dei sogni, con la bellezza e la delicatezza di un mondo fatato e puro, dove l’armonia del regno animale si lega all’incanto della natura.
Proprio come sarebbe piaciuto ai surrealisti e come probabilmente piacerà anche al direttore della giuria berlinese, Paul Verhoeven.