Trifogli mannari e arbitri tolgono il sonno a O’Shea
Èstata una settimana intensa quella del c.t. Conor O’Shea. Ha preparato nei dettagli la partita con l’Irlanda di oggi, ha fatto la formazione (4 le novità), ha spedito una serie di video relativi a Italia-Galles ai responsabili degli arbitri e ha telefonato a Alain Rolland, che degli arbitri è il grande capo. Oggi si aspetta due cose: che gli azzurri tengano duro per 80 minuti e che il direttore di gara, il neozelandese Jackson, ci tratti meglio del suo collega, l’inglese Doyle, che domenica scorsa non ha avuto «gli stessi riguardi — parole di O’Shea — per gli azzurri e per i rossi». Il c.t. è nato a Limerick, ha giocato con l’Irlanda (che oggi affronta per la prima volta da «nemico») e ha allenato in Inghilterra. Non è dunque abituato, a differenza di Parisse («L’arbitraggio? Il solito» aveva detto nel post Galles), a essere maltrattato. Per questo si è dato molto da fare. Non bastasse, secondo il c.t. il calo con il Galles è stato mentale (e qui torna in ballo l’arbitro), non fisico. La speranza è che abbia ragione lui e che oggi contro i trifogli mannari, battuti pure loro nella prima giornata dalla Scozia, gli azzurri (oggi a fare il tifo per loro ci sarà anche Castrogiovanni) tirino fuori una partita perfetta, che per altro potrebbe non bastare. Gli irlandesi a novembre hanno battuto gli All Blacks e giocano un rugby limpido ed estremamente efficace. Limitarli è un’impresa, batterli (l’ultima volta è successo nel 2013) sembra al momento impossibile. O’Shea dice che vorrebbe una Nazionale di rugby capace di giocare come le nostre migliori nazionali di calcio: grande difesa e colpi di genio in attacco. Ma il calcio è lo sport più democratico che esista, difendere è più semplice e tutti hanno una possibilità. Il rugby è l’opposto: se si cambia una regola, si cambia a vantaggio dei migliori. Le gerarchie sono scolpite nel marmo e chi tenta di metterle in discussione è sopportato, quando va bene, con evidente fastidio.