Corriere della Sera

Davigo e l’Italia «Troppi corrotti 25 anni dopo»

Il leader dell’Anm: il codice penale è uno spaventapa­sseri, in cella vanno solo gli sciocchi

- Di Giuseppe Guastella

«A25 anni da Mani Pulite è drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell’Italia nel panorama internazio­nale». Sono le parole amare dette durante un incontro al Corriere della Sera da Piercamill­o Davigo, presidente dell’Associazio­ne nazionale magistrati e uno dei giudici di punta del pool Mani Pulite con Antonio Di Pietro, Gerardo D’Ambrosio e Gherardo Colombo nei primi anni 90. «L’Italia è un Paese corrotto a livelli diversi, finalità e modalità diverse. È un Paese che sta morendo. C’è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria». Esistono soluzioni possibili di fronte a questo panorama desolante? «Bisogna cominciare dalla scuola, educare i ragazzi. E introdurre per la corruzione alcune norme che valgono per i mafiosi».

Ai tempi del pool Piercamill­o Davigo, a destra, ai tempi del pool che condusse l’inchiesta di Mani pulite: al suo fianco c’è Antonio Di Pietro, a sinistra Gherardo Colombo “aspetto di vedere come va finire” o “mi sono fatto un’idea”, ma non può dire sempre “aspettiamo le sentenze”. Significa caricare sulla decisione del giudice la selezione della classe politica».

I politici dovrebbero darsi codici di comportame­nto?

sentenze venissero quasi sempre riformate. Ho visto che era vero quello che mi aveva insegnato un anziano magistrato che diceva che i giudici del tribunale sono come i padri, severi quando è necessario, quelli della Corte d’appello come i nonni, di regola rovinano i nipoti. Dato che su cento ricorsi in appello, 98 sono degli imputati condannati, si cominciano a vedere i problemi solo con una certa ottica e spesso è impossibil­e resistere alla tentazione di ridurre le pene. Bisognereb­be cambiare anche l’appello».

Solo carcere? E l’esecuzione esterna?

«Dipende dai reati e dal tipo degli imputati».

E stato mai tentato di forzare le regole?

«No. Le ho sempre rispettate, e anche quando ero convinto che l’imputato fosse colpevole l’ho assolto se la prova era inutilizza­bile, pensando che era un mascalzone che l’aveva fatta franca».

Un sistema che protegge l’impunità?

«In un sistema ben ordinato, un innocente non deve essere assolto, non deve neppure andare a giudizio perché per lui il processo è una tragedia. I filtri dovrebbero essere all’inizio».

Qual è la priorità?

«La depenalizz­azione. Il problema della giustizia è il numero dei processi. O abbiamo il coraggio di dire che va drasticame­nte ridotto o non se ne uscirà mai. Nel penale basta intervenir­e con una massiccia depenalizz­azione e introdurre meccanismi di deterrenza delle impugnazio­ni, quelli che ci sono, sono risibili».

La politica invece va su una strada diversa e introduce nuovi reati come l’omicidio stradale.

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