Davigo e l’Italia «Troppi corrotti 25 anni dopo»
Il leader dell’Anm: il codice penale è uno spaventapasseri, in cella vanno solo gli sciocchi
«A25 anni da Mani Pulite è drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell’Italia nel panorama internazionale». Sono le parole amare dette durante un incontro al Corriere della Sera da Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati e uno dei giudici di punta del pool Mani Pulite con Antonio Di Pietro, Gerardo D’Ambrosio e Gherardo Colombo nei primi anni 90. «L’Italia è un Paese corrotto a livelli diversi, finalità e modalità diverse. È un Paese che sta morendo. C’è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria». Esistono soluzioni possibili di fronte a questo panorama desolante? «Bisogna cominciare dalla scuola, educare i ragazzi. E introdurre per la corruzione alcune norme che valgono per i mafiosi».
Ai tempi del pool Piercamillo Davigo, a destra, ai tempi del pool che condusse l’inchiesta di Mani pulite: al suo fianco c’è Antonio Di Pietro, a sinistra Gherardo Colombo “aspetto di vedere come va finire” o “mi sono fatto un’idea”, ma non può dire sempre “aspettiamo le sentenze”. Significa caricare sulla decisione del giudice la selezione della classe politica».
I politici dovrebbero darsi codici di comportamento?
sentenze venissero quasi sempre riformate. Ho visto che era vero quello che mi aveva insegnato un anziano magistrato che diceva che i giudici del tribunale sono come i padri, severi quando è necessario, quelli della Corte d’appello come i nonni, di regola rovinano i nipoti. Dato che su cento ricorsi in appello, 98 sono degli imputati condannati, si cominciano a vedere i problemi solo con una certa ottica e spesso è impossibile resistere alla tentazione di ridurre le pene. Bisognerebbe cambiare anche l’appello».
Solo carcere? E l’esecuzione esterna?
«Dipende dai reati e dal tipo degli imputati».
E stato mai tentato di forzare le regole?
«No. Le ho sempre rispettate, e anche quando ero convinto che l’imputato fosse colpevole l’ho assolto se la prova era inutilizzabile, pensando che era un mascalzone che l’aveva fatta franca».
Un sistema che protegge l’impunità?
«In un sistema ben ordinato, un innocente non deve essere assolto, non deve neppure andare a giudizio perché per lui il processo è una tragedia. I filtri dovrebbero essere all’inizio».
Qual è la priorità?
«La depenalizzazione. Il problema della giustizia è il numero dei processi. O abbiamo il coraggio di dire che va drasticamente ridotto o non se ne uscirà mai. Nel penale basta intervenire con una massiccia depenalizzazione e introdurre meccanismi di deterrenza delle impugnazioni, quelli che ci sono, sono risibili».
La politica invece va su una strada diversa e introduce nuovi reati come l’omicidio stradale.