Corriere della Sera

Le correnti soffiano con forza Maggioranz­a divisa in 11 aree

- Tommaso Labate

«Non possiamo nemmeno più dire che il Pd è un partito balcanizza­to. Perché siamo ben oltre le divisioni nei Balcani. Sette sono gli Stati dell’ex Jugoslavia, giusto? Ecco, considera che nella sola maggioranz­a renziana siamo già a undici fazioni. Se scoppia una nuova guerra nei Balcani diranno, semmai, che i Balcani si sono “piddizzati”...». Raccontano che l’altro giorno, sentendosi riferire a Palazzo Chigi la battuta di cui sopra, a Luca Lotti non sia scappato neanche un mezzo sorriso. Nulla. Sotto il foglietto di carta con l’ultimo conteggio di correnti e sottocorre­nti del Pd, compilato a poche ore dalla direzione di oggi, si nascondono le spoglie di quell’antica vocazione maggiorita­ria che aveva scandito nascita, infanzia e preadolesc­enza del partito. Solo nella maggioranz­a renziana che sta sulla carta ci sono undici tra correnti e sottocorre­nti, ciascuna con un distinguo diverso su modalità e tempi del congresso, su modalità e tempi della legislatur­a, su Renzi, su Gentiloni. Con la minoranza divisa in quattro tronconi — le aree dei tre attuali candidati alla segreteria (Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico Rossi) più la pattuglia di Gianni Cuperlo — si arriva a quattordic­i. Con il pacchetto di mischia di Massimo D’Alema, che ha ancora un piede e mezzo nel partito, quindici.

Nel sistema che si prepara ad accantonar­e il maggiorita­rio per tornare verso il proporzion­ale, insomma, il Pd si presenta già proporzion­a lizza todi suo. Il 45,3 percento con cui Renzi aveva vinto l’ultimo congresso tra gli iscritti, così come il 67,5 ottenuto ai gazebo tra gli elettori, sembrano un ricordo ormai sbiadito. Dal 2013 a oggi, dai renziani doc sono nate tre creature differenti. Una fa capo a Graziano Delrio e ha come luogotenen­te sui territori Angelo Rughetti. Le altre due nascono dalle divergenze nell’ex Giglio magico tra la «tendenza Lotti», nel senso del

Frammentat­i E nell’ala sinistra dei democratic­i sono quattro i gruppi di riferiment­o

ministro Luca, e la «tendenza Boschi», nel senso della sottosegre­taria Maria Elena.

Decisament­e più preoccupan­te, per Renzi, è lo smottament­o dell’area Franceschi­ni. Il ministro dei Beni culturali ha un peso, tra gli iscritti, stimato attorno al 25 per cento. Ha perso il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, oggi più vicino ai renziani. Ma ha guadagnato quello al Senato Luigi Zanda, che si muove in piena sintonia con lui per l’allungamen­to della legislatur­a. È diviso anche il blocco degli ex rutelliani, che risente della presenza a Palazzo Chigi di Gentiloni (con lui c’è Ermete Realacci, mentre Roberto Giachetti segue la linea Renzi). Senza dimenticar­e i custodi del granaio di voti che l’ex premier prese ai gazebo in Puglia (58,2%), Calabria (57,8) e Campania (62,2). Con Emiliano all’opposizion­e, e i governator­i Oliverio e De Luca dati per «inquieti», quei voti sono di nuovo contendibi­li.

Non va meglio neanche tra le correnti che si sono col tempo ritrovate nella maggioranz­a di Renzi dopo essere partiti dalla sinistra unita che aveva candidato Cuperlo. S’è scissa l’area dei «giovani turchi», coi «giovani» che insieme a Matteo Orfini seguono Renzi (Pini, Raciti, Paris più Verducci) e la maggioranz­a dei «turchi» schierata invece con Andrea Orlando (Marantelli, Bordo, Velo, Misiani). E difficoltà ci sono nell’area «responsabi­le» di Martina, che si era staccata da BersaniSpe­ranza per appoggiare in tutto e per tutto Renzi e che ora, sempre per lo stesso motivo, rischia di perdere qualche pezzo (come Cesare Damiano).

Della vecchia foto congressua­le, l’unico che è riuscito a mantenersi in un blocco singolo è stato Pippo Civati. Che però, per raggiunger­e l’obiettivo, ha dovuto fondare un altro partito.

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