Le correnti soffiano con forza Maggioranza divisa in 11 aree
«Non possiamo nemmeno più dire che il Pd è un partito balcanizzato. Perché siamo ben oltre le divisioni nei Balcani. Sette sono gli Stati dell’ex Jugoslavia, giusto? Ecco, considera che nella sola maggioranza renziana siamo già a undici fazioni. Se scoppia una nuova guerra nei Balcani diranno, semmai, che i Balcani si sono “piddizzati”...». Raccontano che l’altro giorno, sentendosi riferire a Palazzo Chigi la battuta di cui sopra, a Luca Lotti non sia scappato neanche un mezzo sorriso. Nulla. Sotto il foglietto di carta con l’ultimo conteggio di correnti e sottocorrenti del Pd, compilato a poche ore dalla direzione di oggi, si nascondono le spoglie di quell’antica vocazione maggioritaria che aveva scandito nascita, infanzia e preadolescenza del partito. Solo nella maggioranza renziana che sta sulla carta ci sono undici tra correnti e sottocorrenti, ciascuna con un distinguo diverso su modalità e tempi del congresso, su modalità e tempi della legislatura, su Renzi, su Gentiloni. Con la minoranza divisa in quattro tronconi — le aree dei tre attuali candidati alla segreteria (Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico Rossi) più la pattuglia di Gianni Cuperlo — si arriva a quattordici. Con il pacchetto di mischia di Massimo D’Alema, che ha ancora un piede e mezzo nel partito, quindici.
Nel sistema che si prepara ad accantonare il maggioritario per tornare verso il proporzionale, insomma, il Pd si presenta già proporziona lizza todi suo. Il 45,3 percento con cui Renzi aveva vinto l’ultimo congresso tra gli iscritti, così come il 67,5 ottenuto ai gazebo tra gli elettori, sembrano un ricordo ormai sbiadito. Dal 2013 a oggi, dai renziani doc sono nate tre creature differenti. Una fa capo a Graziano Delrio e ha come luogotenente sui territori Angelo Rughetti. Le altre due nascono dalle divergenze nell’ex Giglio magico tra la «tendenza Lotti», nel senso del
Frammentati E nell’ala sinistra dei democratici sono quattro i gruppi di riferimento
ministro Luca, e la «tendenza Boschi», nel senso della sottosegretaria Maria Elena.
Decisamente più preoccupante, per Renzi, è lo smottamento dell’area Franceschini. Il ministro dei Beni culturali ha un peso, tra gli iscritti, stimato attorno al 25 per cento. Ha perso il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, oggi più vicino ai renziani. Ma ha guadagnato quello al Senato Luigi Zanda, che si muove in piena sintonia con lui per l’allungamento della legislatura. È diviso anche il blocco degli ex rutelliani, che risente della presenza a Palazzo Chigi di Gentiloni (con lui c’è Ermete Realacci, mentre Roberto Giachetti segue la linea Renzi). Senza dimenticare i custodi del granaio di voti che l’ex premier prese ai gazebo in Puglia (58,2%), Calabria (57,8) e Campania (62,2). Con Emiliano all’opposizione, e i governatori Oliverio e De Luca dati per «inquieti», quei voti sono di nuovo contendibili.
Non va meglio neanche tra le correnti che si sono col tempo ritrovate nella maggioranza di Renzi dopo essere partiti dalla sinistra unita che aveva candidato Cuperlo. S’è scissa l’area dei «giovani turchi», coi «giovani» che insieme a Matteo Orfini seguono Renzi (Pini, Raciti, Paris più Verducci) e la maggioranza dei «turchi» schierata invece con Andrea Orlando (Marantelli, Bordo, Velo, Misiani). E difficoltà ci sono nell’area «responsabile» di Martina, che si era staccata da BersaniSperanza per appoggiare in tutto e per tutto Renzi e che ora, sempre per lo stesso motivo, rischia di perdere qualche pezzo (come Cesare Damiano).
Della vecchia foto congressuale, l’unico che è riuscito a mantenersi in un blocco singolo è stato Pippo Civati. Che però, per raggiungere l’obiettivo, ha dovuto fondare un altro partito.