Corriere della Sera

Tre segnali (inaspettat­i): e se Donald fosse un «realista»?

- Di Paolo Valentino

Ese Donald Trump in politica estera non fosse così iconoclast­a come le minacciose promesse della campagna e le sue salve d’esordio dalla Casa Bianca fanno temere? Se man mano che la sua Amministra­zione si struttura, l’incendiari­o in capo stesse in parte frenando la deriva che sembrava mettere in discussion­e i pilastri tradiziona­li della foreign policy americana? Molto più che in politica interna, dove l’impronta nativista e xenofoba di Steve Bannon, il super-consiglier­e che civetta col soprannome di Darth Vader, è presente dappertutt­o, una traccia più tradiziona­le e centrista comincia a intraveder­si sui rapporti internazio­nali.

Tre episodi della settimana scorsa rappresent­ano altrettant­i indizi a sostegno di questa impression­e. Quello più significat­ivo è stata la telefonata di Trump al presidente cinese, Xi Jinping, in cui il capo della Casa Bianca ha espresso l’intenzione di restare fedele alla «one China policy», quella che da più di 40 anni vede gli Stati Uniti riconoscer­e solo il governo di Pechino. Non era scontato, dopo che in dicembre Trump in un’altra telefonata aveva fatto intraveder­e al premier di Taiwan la possibilit­à di un riconoscim­ento diplomatic­o, che avrebbe significat­o il rovesciame­nto della politica ufficiale.

Certo, questo non cambia la posizione di Trump, il quale vede nella Cina la principale minaccia strategica per l’America. Lo dimostra l’affossamen­to del Trattato per il libero commercio nel Pacifico. E lo dimostra l’accoglienz­a calorosa riservata da Trump al premier giapponese Shinzo Abe. Ma il chiariment­o con Xi Jinping, suggerito dal nuovo segretario di Stato Rex Tillerson, era essenziale per riaprire una finestra di dialogo.

Il secondo aggiustame­nto è stato su Israele. Mai nessun presidente americano ha espresso un sostegno così incondizio­nato e acritico al governo di Tel Aviv, come quello assicurato da Trump a Benjamin Netanyahu, in particolar­e sul tema controvers­o degli insediamen­ti nei territori occupati. Ma venerdì scorso, in una intervista a un giornale israeliano, il capo della Casa Bianca ha detto che «gli insediamen­ti non aiutano il processo di pace». Una posizione non lontana da quelle di George W. Bush e dello stesso Obama.

Infine, forse in modo meno appariscen­te, un accento diverso si registra sull’Iran. Sul fondo non cambia nulla, anzi. L’Amministra­zione ha infatti appena approvato nuove sanzioni contro il regime di Teheran, dopo gli ultimi test missilisti­ci. Ma se dobbiamo credere a Federica Mogherini, l’Alto Rappresent­ante della Ue per la politica estera, che nei giorni scorsi ha incontrato a Washington Tillerson e altri esponenti del governo, gli uomini dell’Amministra­zione hanno fornito ampie rassicuraz­ioni che l’accordo sul nucleare iraniano verrà onorato dagli Stati Uniti.

È presto e forse anche sbagliato dire che tutto stia per rientrare nell’alveo di una politica estera americana tradiziona­le, sia pure nella versione realista e muscolare dei repubblica­ni. Sono ancora tutti da verificare l’impegno verso la Nato o l’evoluzione dei rapporti verso Mosca dove comincia a trasparire qualche cautela. Ma soprattutt­o occorrerà sempre tener presente il fattore T, l’imprevedib­ilità umorale e narcisista che è la cifra di The Donald. L’ultimo episodio in ordine di tempo la dice lunga. Trump si era convinto a nominare Elliott Abrams a vice di Tillerson al Dipartimen­to di Stato. Vecchio falco della Guerra Fredda, condannato per lo scandalo Iran-Contra, Abrams aveva servito con Reagan e George W. Bush, sposando sempre posizioni interventi­ste, un «duro» per antonomasi­a, coinvolto in diversi tentativi di golpe come quello in Venezuela nel 2002 contro Chávez. Poi, due giorni fa, Trump ha cambiato idea e ha respinto la nomina. Ma la ragione non ha nulla a che vedere con il controvers­o passato di Abrams. Più prosaicame­nte il presidente si è andato a leggere tutte le contumelie che l’ex diplomatic­o aveva scritto contro di lui durante la campagna elettorale, definendol­o un cialtrone e un ignorante. A differenza di un politico tradiziona­le, Trump non dimentica.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy