Corriere della Sera

Il killer di Nicholas dai domiciliar­i «Graziatemi, donerò gli organi»

Iannello, condannato all’ergastolo, è stato pentito di mafia. Oggi lavora e ha due bimbi

- Apasqualet­to@corriere.it

una detenzione perpetua negli ottanta metri quadrati che divide con moglie e figli.

Tutto nasce dal fatto che il pentito calabrese, capace di ammettere delitti di mafia e incastrare affiliati della cosca di Vibo, si è sempre protestato innocente rispetto all’omicidio Green. «Se il mio cliente avesse confessato anche quello avrebbe evitato l’ergastolo e avuto i benefici di legge, oltre al programma di protezione. Ma non poteva farlo visto che non l’ha commesso», sostiene l’avvocato Claudia Conidi, difensore di Iannello, che interpreta così la decisione dei giudici: «Hanno comunque dimostrato che la condanna a vita è da prendere con beneficio d’inventario».

La domanda di grazia

La scarcerazi­one ha avuto una ricaduta positiva sulle speranze del pentito. Al punto da pensare a una domanda di grazia al presidente della Repubblica. Iannello ha scritto la lettera al capo dello Stato proprio in questi giorni. Giorni nei quali la vicenda Green è tornata alla ribalta delle cronache per la morte di Andrea Mongiardo, l’adolescent­e che ha vissuto 22 anni con il cuore di Nicholas. Dopo la tragedia la famiglia Green sorprese infatti tutti decidendo di donare gli organi del figlio che furono impiantati a sette cittadini italiani. Una lezione di civiltà, capace di Ventitré anni fa Nicholas Green aveva 7 anni quando fu ferito a morte sulla Salerno-Reggio Calabria il 29 settembre del ‘94 scuotere l’Italia dei trapianti e di sollevare un’onda di commozione nel Paese. Nicholas divenne un simbolo. A lui vennero intestate piazze, scuole, canzoni. Sulla sua storia in America girarono un film, «Il dono di Nicholas», con Jamie Lee Curtis e Alan Bates. E mentre la storia varcava i confini nazionali, in Italia calava il sipario su quella giudiziari­a e Iannello finiva in carcere a scontare l’ergastolo.

«Ho ucciso ma non lui»

«Signor presidente — scrive ora il condannato — lo giuro, io non c’entro. Fu mio fratello a commettere l’omicidio del bambino, usando la mia autovettur­a. Non me la sentii di accusarlo in prima battuta... non sono quel mostro che hanno dipinto». Non il mostro di Nicholas, almeno. «È vero, ho commesso omicidi ma li ho confessati tutti e sono stati delitti di mafia, fatti per non essere a mia volta ucciso, perché nelle faide funziona così: o uccidi per primo o sei tu a morire». Pagine sorprenden­ti, nelle quali il pentito abbraccia Reginald e Maggie Green, i genitori di Nicholas: «Mi stringo al loro cuore, capendo ora da padre quanto dolore possano avere. Ogni giorno Nicholas è nei miei pensieri». Infine, il colpo a effetto: «Alla mia morte, se qualcosa del mio corpo sarà ancora buona, donerò gli organi per salvare la vita a qualche persona, almeno sarò utile a qualcuno». Invoca la libertà piena: «La prego, signor Presidente, mi dia la possibilit­à di tornare un uomo libero. Per dare ai miei figli quel sorriso che un giorno si è spento sul volto di Nicholas».

Per la follia di uno sparo, in una notte di mafia.

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