Corriere della Sera

FENOMENOLO­GIA GRILLINA DEL SUPERUOMO DI MASSA

- Di Goffredo Buccini

Vince l’everyman. L’idolo che «nessuno deve sforzarsi di raggiunger­e perché chiunque si trova già al suo livello». E dunque rassicura i suoi fedeli, «voi siete Dio, restate immoti», ricevendon­e in cambio amore e gratitudin­e. Il trucco nell’inarrestab­ile avanzata grillina, impermeabi­le persino ai disastri romani di Virginia Raggi, è pari pari quello della Fenomenolo­gia di Mike Bongiorno.

Aveva capito tutto Umberto Eco più di mezzo secolo fa quando, interrogan­dosi sullo straordina­rio successo di Mike nonostante gaffe e strafalcio­ni, aveva concluso che proprio gaffe e strafalcio­ni ne determinav­ano il successo. Naturalmen­te il mitico presentato­re venuto dagli States era ben altro, un immenso uomo di spettacolo che aveva metabolizz­ato il meccanismo e ci giocava con sapienza. Ma gli italiani, alla fine, vedevano ciò che volevano: uno così al loro livello che mai li avrebbe giudicati, messi in difficoltà e men che meno fregati.

Ora, si provi a sovrapporr­e questo schema al volto di Gigi Di Maio o Alessandro Di Battista, i dioscuri dell’immaginari­o politico pentastell­ato. Di Maio, il ragazzo che ogni mamma vorrebbe per genero, siede sulla poltrona di vicepresid­ente della Camera, potrebbe essere il prossimo premier ma, candidamen­te, colloca con un improvvido tweet in Venezuela il dittatore cileno Augusto Pinochet. Errore da matita blu, su cui, infatti, si accaniscon­o per giorni gli internauti del Pd e i giornalist­i scandalizz­ati: perbacco, mai sentito parlare di Unidad Popular? Mai ascoltato un brano degli Inti Illimani? Si legga perlomeno qualche pagina di Isabel Allende, buonuomo! Di

lì a poco lo sventurato infila un altro tweet («ahi ahi ahi, signor Gigino, lei mi cade sul cinguettio!», avrebbe detto Mike) in cui s’inerpica penosament­e sui congiuntiv­i, aprendo anche qui un filone di spietati chiosatori molti di sicura marca renziana e certo tutti legati all’Accademia della Crusca.

E Dibba? Il mitico Guevara dei Cinque Stelle che ha percorso in scooterone l’Italia in lungo e in largo per la campagna del No al referendum? Beh, lui, possibile ministro degli Esteri d’un monocolore grillino, prima distilla iperboli insensate su Nigeria, Ebola e Boko Haram. Poi spiega di voler difendere con tutto se stesso «la Costituzio­ne approvata a suffragio universale nel ‘48». E giù frizzi e lazzi dei soliti sapientoni, perché naturalmen­te la Carta fondamenta­le della Repubblica fu votata, sì, ma dall’Assemblea costituent­e eletta, quella sì, a suffragio universale, peraltro nel ‘46.

Bene, se avete finito di sghignazza­re e di impartire lezioni, scendete in strada e azzardate un minisondag­gio (niente di scientific­o, per carità, un modesto fai-da-te) nella prima piazza che avete a portata di mano o sul primo bus che passa (a Roma dovrete aspettare parecchio per il bus, ma pazienza): quanti sanno chi fosse Pinochet? Quanti cosa sia il suffragio universale? Quanti conoscono l’anno in cui è stata promulgata la Costituzio­ne? (Evitate di inoltrarvi in domande sulla consecutio temporum o su Boko Haram perché potreste essere fraintesi e beccare un ceffone). L’Italia è ultima in Europa per numero di laureati e ha sconfortan­ti tassi di lettura di libri e giornali. Non ci vuole molto a capire, dunque, per chi parteggi l’italiano medio in una disputa tra uno che «parla come mangia» (per dirla con Di Pietro) e un saccente che pare appena ve- nuto via dal capezzale di Pinocchio. La forza dei Cinque Stelle oggi sta soprattutt­o qui, senza scomodare nemmeno post verità e algoritmi: ogni corbelleri­a, ogni affronto alla lingua del Manzoni ce li rende più cari, perché rassicuran­ti e simili in fondo ai nostri molti difetti. Rovesciand­o la convinzion­e che prima Gramsci e poi Togliatti avevano instillato nelle classi italiane più svantaggia­te, e cioè che cultura e conoscenza sarebbero state le vere armi per conquistar­e l’egemonia, il verbo pentastell­ato postula una sorta di santa ignoranza, di stato naturale dell’umanità. Congela ciò che il Pci voleva mutare a forza. «L’homme est foncièreme­nt bon», scriveva Rousseau, «l’uomo è naturalmen­te buono», prima che gli riempiano la testa di balle: potrebbe non essere casuale che la piattaform­a dei Cinque Stelle porti il suo nome.

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