Corriere della Sera

FAKE NEWS E FAKE PEOPLE QUANDO GLI IMITATORI VENGONO PRESI PER VERI

- Di Luca Mastranton­io

Da «fake news» a «fake people» il passo è breve. Ed è un pericoloso salto all’indietro, visto che le «notizie false» e i «sosia» non li hanno certo inventati il web, Donald Trump o i suoi detrattori. Ma la Rete rende più facile abboccare alle «bufale», con il proliferar­e di notizie non verificate e di identità non controllat­e; e il presidente americano ha reso popolare e contagioso, «viralizzat­o», il concetto di «fake news», con la sua continua delegittim­azione dei media critici nei suoi confronti. Sono, purtroppo, dati di fatto. Preoccupan­ti per chiunque non si accontenti di sguazzare nelle proprie convinzion­i, nella propria versione dei fatti, frequentan­do solo i gruppi Facebook in cui ci si dà ragione a vicenda o, al massimo, ci si organizza per fare i bulli sulle bacheche degli altri. Ma succede che nella sbornia cabarettis­tica globale, nella società dello spettacolo diffuso, un imitatore venga preso per l’originale. Il 10 febbraio scorso, su El Nacional della Repubblica Dominicana, a corredo di un servizio sulla visita di Trump in Israele, è finita una foto dell’attore Alec Baldwin che imita «the Donald»: un numero già inflaziona­to nel circuito di Hollywood, dato che sono tanti gli attori e le attrici che lo imitano, dando corpo a un’ossessione maniacale, simile a quella che aveva colpito tanti antiberlus­coniani. Per certe cose, d’altronde, restiamo sempre avanti. Il 7 febbraio scorso Vittorio Sgarbi alla Zanzara di Radio24 si fece interprete del pensiero di Beppe Grillo su Virginia Raggi estrapolan­do frasi da una presunta telefonata con lui. Si alzò un polverone e il critico mise su Facebook un video in cui parla al telefono con una voce che pare proprio di Grillo, anche perché con tono serissimo chiede una smentita. Ma poi, dall’account Twitter ufficiale, Grillo ha fatto una capriola delle sue, ringrazian­do un fantomatic­o «imitatore» che avrebbe ingannato il «fakeintell­ettuale» Sgarbi. Siamo al «fake imitatore»?

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