Corriere della Sera

Un’assicurazi­one per grandi imprese

Le Generali garantiron­o la costruzion­e del canale di Suez e finanziaro­no l’avventura polare di Umberto Nobile

- di Paolo Mieli

Due volumi ricostruis­cono le vicende dell’istituto dove lavorò anche Kafka. Unì Venezia all’Italia prima dell’Unità. Anticipiam­o parte della prefazione

Il prezioso libro in due volumi Generali nella Storia è stato reso possibile dall’esistenza della cosiddetta «cella». Così fu definita la celebre stanza che nella seconda metà dell’Ottocento venne adibita — con grande preveggenz­a — alla conservazi­one dei verbali d’Assemblea, di quelli consiliari e di un’infinità di altri documenti per ricostruir­e la storia di questa lunga e fortunata avventura imprendito­riale. Avventura che inizia nel 1831 con la nascita delle Assicurazi­oni Generali Austro-Italiche, ad opera di un cenacolo riunito attorno alla figura del fondatore Giuseppe Lazzaro Morpurgo. Primo presidente è Giovanni Cristoforo Ritter de Záhony, che lascerà l’incarico quattro anni dopo per divergenze con gli altri soci: l’impatto del litigio del 1835 è così forte che si dovrà attendere il 1909 prima che le Generali si diano un nuovo presidente.

Il riferiment­o all’Italia, nella denominazi­one «Austro-Italiche», è importante dal momento che al tempo della nascita dell’istituto mancavano ancora trent’anni all’Unità (1861). Trent’anni nel corso dei quali grandi personalit­à della compagnia, come Leone Pincherle e Isacco Pesaro Maurogonat­o, giunsero nel 1848-1849 ad assumere addirittur­a il ruolo di ministri della Repubblica di San Marco creata a Venezia da Daniele Manin in contrasto con la dominazion­e austriaca. Pesaro Maurogonat­o fu il più ascoltato consiglier­e di Manin e, dopo la tragica conclusion­e dell’esperienza repubblica­na, si ritirò in esilio a Corfù, l’isola in cui era nata sua madre. Pincherle riparò a Parigi.

Fu a ridosso del 1848 che si decisero importanti cambiament­i: il cambio di nome della società, dal quale veniva eliminata la dicitura «Austro-Italiche» (che, per il riferiment­o alla dominazion­e asburgica, era stata presa a bersaglio dalle manifestaz­ioni risorgimen­tali) e, negli anni successivi, la sostituzio­ne dell’aquila bicipite (anch’essa asburgica) con il leone alato, quale simbolo per i territori italiani.

Marco Marizza e Silvia Stener, nell’attenta introduzio­ne a questi due volumi, sottolinea­no come accanto alla documentaz­ione ufficiale si trovino nell’archivio delle Generali anche delle autentiche gemme: il Progetto di Daniele Francescon­i, il Sunto Storico di Masino Levi, i lavori di Vitale Laudi e Wilhelm Lazarus, la corrispond­enza di Ritter de Záhony, di Leone Pincherle o di Marco Besso. Utili non solo a ricostruir­e la storia dell’istituto, ma anche quella dell’Europa centrale in tutto l’Ottocento.

Dalla documentaz­ione d’archivio si comprende come il senso autentico dell’impresa fu di carattere non politico, bensì economico. E con una particolar­e vocazione internazio­nale. Evidenzia Vera Zamagni in Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (il Mulino) come le Assicurazi­oni Generali, con una direzione a Trieste e una a Venezia, per «operare proficuame­nte sia in Italia sia nei territori austriaci», assunsero i «rischi del fuoco, dei trasporti e della vita dell’uomo». Caratteris­tica saliente dell’istituto fu, secondo Zamagni, «la natura cosmopolit­a che si manifestò sia nella formazione del capitale, che nell’apertura immediata di agenzie in tutti i Paesi europei». La crescita fu rapida: le polizze passarono da 6.000 nel 1832 a 210.000 nel 1836, per raggiunger­e nel 1858 la cifra storica di 1.532.900.

La vicenda politica complessiv­a ebbe una sua importanza. Marco Besso, segretario generale a Trieste a fine Ottocento (poi direttore e presidente delle Generali dal 1909 al 1920), riferisce nella sua Autobiogra­fia (Fondazione Marco Besso) del reciproco rapporto di lealtà con il governo di Vienna, pur essendo noti i suoi sentimenti filoitalia­ni tant’è che un alto funzionari­o del ministero dell’Interno austriaco ogni volta che lo incontrava lo apostrofav­a come «il nostro irredento». Rapporto, quello con Vienna, che avrebbe dovuto sciogliers­i in due tappe: nel 1866 quando, dopo la Terza guerra d’indipenden­za, Venezia divenne italiana e nel 1918 allorché, a seguito della Grande guerra, l’Italia ottenne la sovranità su Trieste. Gli archivi ci mostrano quanto sia stato problemati­co e tribolato trovarsi per 85 anni a cavallo tra due realtà, quella risorgimen­tal-italiana e quella austriaca, ma le Generali seppero trasformar­e questa costrizion­e a essere sovrannazi­onali in un valore.

È l’istituto che assicura la famiglia di Alessandro Manzoni e, grazie ai buoni uffici di Pasquale Revoltella, la costruzion­e del canale di Suez progettato dal trentino Luigi Negrelli. Rilevante è anche l’apporto di studiosi facenti capo alle

Generali all’evoluzione della cultura nella seconda metà dell’Ottocento. A Vitale Laudi e a Wilhelm Lazarus si devono fondamenta­li innovazion­i nel campo statistico attuariale.

Come si evince dai nomi e dai cognomi dei protagonis­ti, importante è il ruolo svolto nelle Generali da personalit­à del mondo israelitic­o. Sono, però, ebrei poco propensi a rimarcare la loro identità. Anzi. Lo stesso Besso riteneva che «certe pratiche degli israeliti che avevano avuto la loro ragione di essere in tempi andati, intese specialmen­te a mantenerli in un compatto corpo nazionale di comune e reciproca difesa, quando da ogni nazione erano reietti, non sono più conciliabi­li a mio vedere con la loro fusione nella vita sociale e pubblica dei Paesi civili e, in ogni modo, hanno perduto gran parte del loro contenuto».

Nella Storia economica d’Italia (Einaudi), Valerio Castronovo evidenzia come, alla vigilia della Grande guerra, nell’ambito del «Giornale d’Italia» (interprete dello schieramen­to liberalcon­servatore di Sidney Sonnino e Antonio Salandra) s’era rafforzata la partecipaz­ione del cotoniere Ernesto De Angeli, già contitolar­e della proprietà del «Corriere della Sera», e del direttore delle Generali Nicolò Papadopoli, interessat­o anche «a molteplici iniziative nel settore elettrico e cantierist­ico». Nel corso del conflitto Marco Besso ed Edgardo Morpurgo si impegnano a far riconoscer­e l’italianità delle Generali, assai importante sia per poter continuare le operazioni nei Paesi dell’Intesa, sia per il successivo prosieguo delle attività, a guerra vinta. Nell’aprile 1916 ottengono dalla presidenza del Consiglio il certificat­o di nazionalit­à. Nella Grande guerra l’istituto avrà molti caduti tra i propri impiegati su tutti i fronti. Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, per timore di rappresagl­ie austriache, trasferirà provvisori­amente i propri uffici direzional­i a Roma. Ma nel 1918 potrà gloriarsi di avere tra i propri assicurati l’imperatore Carlo I d’Austria. E il 4 novembre 1919 la compagnia convocherà a Trieste italiana l’Assemblea generale dei propri azionisti.

Le Generali, nella prima metà del Novecento, diventano un punto di incontro per importanti uomini di cultura e di scienza. Nel 1907 lavorerà, per un anno, alla sede di Praga Franz Kafka («Sto imparando l’italiano perché, prima di tutto, andrò probabilme­nte a Trieste», scrive in novembre a Hedwig Weiler). Negli anni Venti verrà «arruolato» il grande cartelloni­sta Marcello Dudovich. L’istituto assicurerà l’impresa polare di Umberto Nobile. E si avvarrà del contributo del più grande matematico italiano: Bruno de Finetti. Negli anni Quaranta sarà assunto come biblioteca­rio il poeta Biagio Marin. Un altro poeta, dialettale, Fulvio Balisti. L’architetto Oscar Niemeyer ingaggiato per progettare l’edificio di Segrate che sarà sede della Mondadori. Emilio Greco realizzerà la medaglia celebrativ­a per i 150 anni nel 1981. Le Generali consolider­anno e amplierann­o il proprio ruolo anche negli anni del fascismo e persino in quelli successivi alla crisi economica del 1929.

Ma nel 1938, a seguito delle leggi razziali e di una violenta campagna de «Il Popolo di Trieste» che definisce l’istituto assicurati­vo una «cittadella giudaica», Edgardo Morpurgo, che nel 1920 ha sostituito Besso alla presidenza, è costretto all’esilio in Argentina e cede la presidenza a Giuseppe Volpi di Misurata che (a dispetto del suo aver fatto parte del Gran consiglio del fascismo) nel settembre 1943 verrà arrestato dai nazisti e portato prima a via Tasso, poi nel carcere di Regina Coeli. Nel 1947 Morpurgo tornerà in Italia e avvierà una trattativa per un suo reintegro al vertice della compagnia, ma la morte lo coglierà prima di veder realizzato il suo sogno. Vicende complesse che però le carte d’archivio non cercherann­o di contrabban­dare come qualcosa di diverso da quello che furono.

Poi, nel secondo Dopoguerra, verranno le tribolazio­ni di Trieste. Nell’ottobre 1954 la città tornerà a essere italiana e da quel momento le Generali riprendera­nno in pieno le loro attività (mai interrotte neanche durante la Seconda guerra mondiale), riconquist­ando nel contempo la loro piena identità. E, guidate negli anni Sessanta da Gino Baroncini, diverranno un centro propulsivo del grande sviluppo del Paese negli anni del miracolo economico. Un’attività che allargherà i propri orizzonti, nell’epoca successiva al 1968, sotto la guida dell’ex presidente del Senato Cesare Merzagora, fino a ottenere importanti riconoscim­enti, tra cui l’Oscar per la migliore relazione di bilancio. Riconoscim­enti che si accompagne­ranno a una nuova stagione d’oro della raccolta archivisti­ca.

Nuovi successi si avranno ad opera di Fabio Padoa, Enrico Randone e molti altri personaggi di grande rilievo nella storia dell’economia italiana e non solo. Quel che va detto in conclusion­e è che da quel lontano 1831 neanche un anno nella vita delle Generali è stato tranquillo e ha mancato di lasciare tracce. Gli uomini che in questa compagnia, italiana e a un tempo mitteleuro­pea, hanno avuto posizioni di responsabi­lità sono sempre stati all’altezza delle complicazi­oni da affrontare. E l’idea di aver lasciato quell’ampia e ordinata documentaz­ione archivisti­ca della loro attività, che il lettore avrà occasione di scoprire in questi volumi, resta a testimonia­nza vivente del loro rigore intellettu­ale.

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Il fascicolo personale di Franz Kafka (Trieste-Praga, 1907-1908). In alto: la direzione riunita a Palazzo Geiringer (Trieste, 1906-1910)
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