La dottrina italiana del Real Madrid
L’eclettismo tattico di Zidane, i gol di Morata, gli allenamenti di Pintus. Mercoledì il Napoli in Champions
Quando più o meno tutti ancora lo consideravano nient’altro che un sopravvalutato raccomandato, o il contrario, ben prima cioè che una serie non casuale di magnifici risultati dimostrasse le sue indiscutibili qualità di allenatore, Zinedine Zidane già giocava a carte scoperte: «Io ho imparato tutto in Italia». Gestione del gruppo, approccio alle partite, ma soprattutto quell’eclettismo tattico che è poi il vero segreto della categoria dei nostri allenatori. Quando Lippi, uno dei suoi maestri, forse quello da cui Zizou ha appreso meglio e di più in questo senso, spiega che «non esiste un sistema giusto, ma solo uno per ogni determinata situazione e il grande allenatore è chi riesce a individuarlo» intende esattamente questo.
Una prova viene dal fatto che nel corso di questa stagione nella quale i Bianchi stanno dominando in lungo e in largo il marsigliese ha alternato almeno cinque sistemi diversi, derogando a un dogma del madridismo come il 4-3-3 per compiere scelte ai limiti dell’eresia come la difesa a tre. Non sempre ha funzionato, ad esempio nella Zizou Zinedine Zidane, 44 anni, al Real dal 4 gennaio 2016: ha preso il posto di Benitez. Ha vinto Champions, Supercoppa e Mondiale Club (Epa) prima parte della partita poi vinta 3-1 sabato sera a Pamplona con l’Osasuna, ed è quasi certo che non la rivedremo mercoledì al Bernabeu col Napoli, ma è la dimostrazione che ZZ non teme cambiamenti in corsa. Un’insidia ulteriore per Sarri e i suoi.
Pur senza arrivare a slogan come «Real Italia», che sarebbe eccessivo visto che i Galattici sono anche Cr7 e Bale, è corretto dire che c’è molto di nostro. C’è Morata con i suoi 10 gol, da comprimario ma non banali, che in un’intervista al Corriere dello Sport ha ammesso di essere diventato «più forte» grazie alla Juve. E poi c’è lui, il «Sergente». Malgrado lo chiamino tutti così, incluso Cristiano che pare lo adori, Antonio Pintus nulla ha a che spartire né col maggiore Hartman di Full Metal Jacket né con l’immaginario classico del preparatore atletico: da quando c’è lui, giugno scorso, da quando cioè Zidane è riuscito a farlo reclutare dopo un corteggiamento estenuante, sembra quasi che a Valdebebas abbiano cominciato tutti a sgobbare addirittura volentieri. «È grazie a lui se stiamo così bene» garantisce Marcelo. Non appena ha potuto, il francese ha preteso l’ingaggio del suo vecchio amico di Settimo Torinese, 54 anni, conosciuto nella seconda metà dei 90 ai tempi della Juve dove questo allora ragazzo con la passione per le maratone era appena arrivato dopo la laurea all’Isef (premiata dal Coni). Niente bestemmie né flessioni forzate, il suo approccio è scientifico anche se classico: sì al pallone, ma in allenamento si corre. E parecchio. Dice: «La tecnica secondo me fa la differenza, pero se hai due campioni al medesimo livello tecnico, chi corre più veloce sarà il migliore».
Occhio però, perché anche il Napoli non è solo bel gioco. Uno studio dell’Uefa conferma che la squadra di Sarri in Champions ha percorso 674,3 chilometri: fra le 16 squadre che da domani si sfideranno agli ottavi sta sul podio dopo Atletico e Dortmund. Insomma: Real-Napoli sarà anche, anzi forse soprattutto, un duello di gambe e fiato. Un duello molto, molto italiano. Più di quanto sembri.