Da Giugiaro alla generazione 7,5 L’evoluzione infinita di un mito
È l’equivalente a quattro ruote di un Highlander. Un essere immortale, capace di attraversare quattro decadi senza perdere un briciolo della sua identità. La Volkswagen Golf sta per compiere 43 anni (la prima uscì da Wolfsburg il 29 marzo 1974), ed è naturale chiedersi alla vigilia del lancio dell’ultima versione (un aggiornamento della serie VII tanto importante da far parlare di una «generazione 7,5») quale sia il segreto della sua lunga vita.
Alla Golf, qualcuno, rimprovera l’evoluzione «invisibile». I minimi cambiamenti del design tra una serie e la successiva. I piccoli aggiustamenti del tiro estetico, preferiti ai clamorosi ribaltoni stilistici. Sta di fatto che l’auto si è sempre adattata al costume e alle attese dei diversi periodi. La coraggiosa strategia dell’evoluzione nella continuità l’ha man mano rafforzata, anziché indebolirla. Nata con la missione di rilanciare un’industria in sofferenza, sprofondata in una crisi energetica epocale, avrebbe dovuto rimpiazzare il modello che dal dopoguerra reggeva le sorti del costruttore, il «mito» Maggiolino. L’impresa fu affidata a Giorgetto Giugiaro. La musa ispiratrice fu un’auto italiana: la Fiat 128. I canoni erano chiari: funzionalità, affidabilità, solidità, eleganza.
Il risultato fu subito un successo. Un milione di vetture vendute nei primi due anni. Oltre 33 milioni alla fine del 2016. In mezzo sette generazioni (...sette e mezzo) e una moltitudine di derivazioni. Passando oltretutto dalla mano felice di Giugiaro a quella altrettanto fortunata di un altro grande designer italiano, Walter de Silva. Dallo spirito di adattamento sono nate le wagon, (1993), le cabrio (’79), i pick up (’82). A benzina, a gasolio, a metano. È diventata ibrida ed elettrica pura. È tutt’oggi la prima auto di famiglia e la seconda auto di prestigio. Ha messo d’accordo giovani e anziani, uomini e donne. Trasversale per ceto. desiderata in qualunque parte del mondo. È stata una delle icone degli anni Ottanta (la GTI era un marchio a sé), insieme al Rolex e alle griffe della moda. Ha attraversato gli irrequieti anni Settanta. Ha surfato sull’onda della rivoluzione rock sponsorizzando gli storici tour europei dei Pink Floyd (vedi la Pink Floyd Edition, 1994) e dei Rolling Stones (la Rolling Stone Edition, ’95). Ha celebrato il trattato di Maastricht (la Golf Europe, ’92). Ha superato le paure dei primi anni 2000 e la crisi dei mercati finanziari. Ha affrontato la globalizzazione proponendo il suo rassicurante modello di solidità, affidabilità, funzionalità, e fedeltà a se stessa. Ha anticipato le esigenze ambientali, prima rilanciando il Diesel (anche in chiave sportiva, con la GTD del 1982), poi «ripulendolo» con il catalizzatore ossidante (’91) e l’iniezione diretta (’93). Con la settima generazione ha risposto alle pressanti richieste di
efficienza (fino al 23% di consumi in meno) e d’innovazione, arricchendosi di sistemi di guida intelligenti.
Con questa storia, nessuna meraviglia che la Golf abbia radunato nel tempo una (entusiasta) platea trasversale: dalla giovane Angela Merkel (che rivendette la sua nel 1996, con 190 mila km nel motore) al maturo Joseph Ratzinger, che nel 1997, prima di diventare papa Benedetto XVI, acquistò una 5 porte. La Golf è sempre stata «l’auto su misura per tutti», definizione solo in apparenza contraddittoria. E non ha la minima intenzione di andare in pensione.
Best seller Alla fine del 2016, le Golf vendute nel mondo dal 1974 sono oltre 33 milioni