Da Sposetti a Fassino gli ex pci schierati per limitare gli addii
Intanto Boschi e Lotti lavorano su Decaro e De Luca
lo rende un bersaglio di Grillo e della Lega, i quali potranno esercitarsi in un facile gioco al massacro. Sul suo blog, il capo del M5S descrive l’«italiano medio che guarda, forse impreca, ma porta pazienza, si rimbocca le maniche e va avanti... Ma tutto ha un limite».
La prosa è degna dell’«Uomo Qualunque», il movimento creato nel Dopoguerra da Guglielmo Giannini in nome dell’antipolitica. Ma allora il sistema aveva anticorpi robusti, e partiti in grado di contrastare spinte di questo tipo. Oggi, la narrativa di Grillo promette di insinuarsi senza ostacoli in spezzoni disorientati dell’elettorato; e di attecchire in una sinistra che pure nel 2013 aveva scelto un leader col compito di arginare l’ascesa grillina; e di sottolineare e fare esplodere le contraddizioni del M5S. L’esito è opposto.
I Cinque Stelle sono più forti di prima, per demerito altrui prima che per i propri meriti. Le sue contraddizioni sono forse più forti del passato. Ma non sono esplose, mentre sono precipitate quelle del Pd, immergendo l’Italia in un’altra fase di potenziale instabilità. Grillo può tuonare strumentalmente contro un Parlamento in piedi solo per arrivare a garantire le pensioni: dimenticando che riguarderebbe anche gli eletti dei Cinque Stelle; e che ci sono una riforma elettorale e misure urgenti da approvare prima delle urne.
Ma non è facile, dopo l’assemblea del Pd, contrastare la «verità» di Grillo, che parla di «quattro anni buttati»; e che a Renzi dimissionario chiede «l’ultimo contributo prima di sprofondare nell’abisso». L’allusione è alle riforme bocciate nel referendum del 4 dicembre; all’aumento del debito pubblico; e al caos nel Pd. L’analisi è condivisa da FI e Lega. Ma il partito di Silvio Berlusconi, più responsabile, vuole aiutare Gentiloni ad arrivare al 2018. Gli altri, invece, puntano al voto subito. E vedono un alleato oggettivo nel Pd, che dovrà impegnarsi molto per smentirli.