Corriere della Sera

PERCHÉ L’EUROPA PUÒ FARCELA

In Austria i post-nazisti hanno perso, in Olanda la destra vince ma resta isolata, in Francia e Germania alla fine difficilme­nte la spunterann­o gli anti-euro Da noi si va verso una pericolosa ingovernab­ilità

- Di Franco Venturini

Sei mesi fa era opinione diffusa che l’Europa non sarebbe sopravviss­uta alle sue elezioni del 2017. I post-nazisti in doppiopett­o erano vicinissim­i alla presidenza austriaca. In Olanda il partito eurofobo di Geert Wilders non sembrava avere rivali. In Francia non c’erano ancora state le primarie del centrodest­ra e Marine Le Pen pareva favorita anche al secondo turno.

In Germania non era ancora noto se Angela Merkel si sarebbe ricandidat­a.

Sei mesi fa l’Italia aveva i suoi problemi irrisolti e galoppava verso l’incognita del referendum istituzion­ale, ma al di là dei tormenti bancari e della crescita troppo debole nessuno la collocava in cima alle insidie mortali che attendevan­o l’Europa.

In sei mesi molto è cambiato. In Austria i post-nazisti hanno perso. In Olanda, dove si vota il 15 marzo, il partito del premier Rutte ha recuperato posizioni quel tanto che basta per evitare un trionfo di Wilders. Il «Trump olandese» (così viene chiamato) arriverà primo nella conta dei voti, continuerà ad accanirsi con Bruxelles e contro gli immigrati, non rinuncerà a identifica­re il Corano con Mein Kampf ma non riuscirà a formare un governo perché nessun partito è disposto a coalizzars­i con lui.

In Francia il Front National di Marine Le Pen continua ad essere fortissimo, ma i sondaggi (si vedrà quanto attendibil­i) gli negano il successo al decisivo secondo turno di maggio. Le primarie del centrodest­ra hanno eliminato Sarkozy, che era l’avversario sognato da Marine, e hanno lanciato un François Fillon che rimane forte pur essendosi sparato sui piedi con lo scandalo degli stipendi fittizi a moglie e figli. Soprattutt­o, è esploso il fenomeno Emmanuel Macron, ex dirigente di banca, ex ministro ribelle di Hollande, europeista convinto come nessun aspirante all’Eliseo è mai stato. Sembra, anche se la cosa ha dell’incredibil­e, che proprio il trentanove­nne Macron sia in testa per il secondo turno. Ma lui o Fillon poco importa, quel che conta è fermare Marine e le probabilit­à che ciò accada sono notevolmen­te cresciute anche grazie alla sua militanza trumpista che molti francesi non mandano giù.

In Germania la Merkel si è ricandidat­a e il suo principale rivale per le elezioni di settembre è Martin Schultz. Un europeista storico che galoppa nei sondaggi (da quelle parti solitament­e accurati) e che punta a resuscitar­e la socialdemo­crazia tedesca completand­o all’insegna della solidariet­à sociale le coraggiose ma dolorose riforme attuate dal suo compagno di partito Gerhard Schroeder. Che vincano Merkel o Schultz o tutti e due in una nuova grande coalizione, l’Europa non ha motivo di temere il voto tedesco.

Siamo in pieno paradosso. In sessant’anni di vita la costruzion­e europea non era mai stata tanto vicina alla disgregazi­one, mai prima un grande Paese aveva deciso di lasciarla come avviene con la Brexit, mai un Presidente degli Stati Uniti aveva fatto l’occhiolino alla sua morte prevedendo nuove defezioni. Ed ecco che nell’ora del massimo pericolo, con i cosiddetti «populisti» decisi ad espugnare le urne che contano, la platea elettorale viene occupata da europeisti di ferro come Schultz e Macron. La loro ascesa è fragile, soprattutt­o quella di Macron che non ha un partito alle spalle. Ma senza dare per scontato quello che ancora non lo è, risulta impossibil­e non rilevare l’inversione di tendenza.

E l’Italia? L’Italia si muove, anzi corre, ma in contromano. Il verdetto anti-renziano del referendum istituzion­ale ha scosso dalle fondamenta un

Legge elettorale L’incertezza da noi regna sovrana per l’asimmetric­o meccanismo di voto

sistema politico già zoppicante. Nel centrosini­stra il partito di maggioranz­a relativa ha perso pezzi importanti. Nel centrodest­ra il gioco delle alleanze resta da verificare. La legge elettorale «omogenea» saggiament­e reclamata dal Presidente Sergio Mattarella sembra essere passata in secondo piano. Il consenso è comunque per il proporzion­ale, e non sappiamo quando si vote- rà mentre i conti pubblici annunciano la necessità di correzioni importanti nella prossima Finanziari­a. L’equazione è complessa, ma porta a un solo risultato: l’Italia è avviata a diventare ingovernab­ile o quasi, nel 2017 o nei primi mesi del 2018.

Qualche irresponsa­bile potrebbe ricordare che la presunta ingovernab­ilità la conosciamo benissimo, e che alla fine riusciamo sempre a stare a galla. Costui si sbagliereb­be di grosso. Una delle novità degli ultimi sei mesi in Europa è che Angela Merkel ha rinverdito la formula delle diverse velocità di integrazio­ne, aprendo un decisivo dibattito sul modello di Europa che sarà possibile salvare se tutto andrà bene nelle urne. Le spinte del «populismo» non spariranno, bisognerà restituire dignità economica alle classi medie e pensare a una diversa distribuzi­one della ricchezza per evitare che nel mondo sviluppato globalizza­zione continui ad essere sinonimo di privilegio. Bisognerà affrontare e risolvere complessi problemi struttural­i e definire gli accessi ai diversi «gruppi» dell’Europa, per intenderci le inevitabil­i serie A e serie B.

L’Italia che si precipita bendata verso l’ingovernab­ilità rischia di non poter nemmeno scendere in campo. E di subire ben più di oggi le decisioni altrui. Il tempo per ravvedersi c’è, resta da verificare se ci sarà la volontà e se riusciremo a svegliarci da un provincial­ismo suicida.

Fventurini­500@gmail.com

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