L’effetto nostalgia (canora)
Enrico Rossi canta la Locomotiva di Guccini come inno dei demoprogressisti.
La maledizione del nome, in un’area troppo affollata di simboli, a furia di scissioni e ricomposizioni, fratture, riunificazioni. Troppe sigle, troppe associazioni, partiti, movimenti. E se ci si scinde, parte la ricerca affannosa di nuovi acronimi. Le sigle a specchio, e allora Dp, che è esattamente speculare a Pd. Articolo 1 Movimento democratici e progressisti, che in comune al Pd ha la parola democratico, al plurale, ma aggiunge «progressisti», come la carovana di Occhetto nel 1994, e non è un ricordo politicamente di buon auspicio.
Del resto, dove avrebbero dovuto attingere i protagonisti della scissione. Dalla botanica è stato ricavato tutto il possibile: querce, rose, margherite. Dalla zoologia pure: gli asinelli, come negli Stati Uniti, oppure le coccinelle che segnarono il primo tentativo di autonomizzazione di Fini da Berlusconi. I nomi della tradizione politica poi, sono oramai sold out. Socialista, che pure sarebbe una denominazione in linea con la media europea, venne bocciato già all’indomani dello strappo con il Pci, con grande disappunto dell’allora corrente migliorista di cui era esponente massimo Giorgio Napolitano: sembrava troppo subalterno a Craxi. Libertà, se non associato a sinistra, è diventato appannaggio del centrodestra. Liberale è una brutta parola in tempi di anatema nei confronti del liberismo. Sinistra c’è ovunque. Sinistra nuova, sinistra unita, sinistra e libertà. Quante ce ne sono. Laburista è severamente vietato, anche se sul «lavoro» Roberto Speranza ha investito molta ricerca di identità, con la citazione entusiastica del primo articolo della nostra Costituzione addirittura nel simbolo.
Sul democratico, occorre giocare in qualche modo. Democratici di sinistra non era possibile, già dato. Definizioni post ideologiche non vanno più tanto di moda. Quindi si prova con Democratici e progressisti, che oltre tutto gli scissionisti sono accusati di essere un po’ della sinistra conservatrice e immobilista e dunque la patente progressista è di buon augurio, leva un’etichetta ingombrante. Risultato: Dp. Che è un po’ un dispetto nei confronti del Pd, che vede chi si scinde allo specchio, quando non vorrebbe vederlo proprio. Oltretutto Dp era anche la sigla di Democrazia proletaria, un cartello elettorale che doveva riunire a metà degli anni Settanta tutti i microgruppi che frastagliavano la sinistra extraparlamentare che voleva diventare parlamentare. Ma quella era l’epoca dei dinosauri, Renzi e Speranza non erano nemmeno nati. Un ricordo troppo legato alla memoria di chi oramai ha un po’ di anni alle spalle.
Perché un po’ giovani bisogna apparire e bisogna dire che dopo il tuffo nel passato di «Bandiera rossa» intonata quando i tenori scissionisti erano tre con Emiliano e sono diventati due senza Emiliano, ora era il caso di aggiornarsi un po’. E allora ecco Enrico Rossi, governatore della Toscana, che si fa cogliere su Facebook mentre gorgheggia interi versi della Locomotiva di Francesco Guccini, soprattutto nell’esaltazione della «forza della dinamite», dimenticando però che la «fiaccola dell’anarchia», non del fronte moderato democratico-progressista, veniva tenuta accesa da chi voleva far saltare in aria un «treno pieno di signori». Comunque Guccini è un’icona indiscutibile, e non saranno certo le pedanterie ideologiche sui testi delle sue canzoni a indebolire il messaggio potente che gli scissionisti Dp vogliono lanciare varando il nuovo movimento. I Democratici e progressisti ora casomai avranno il problema di come autodefinirsi in forme abbreviate: dempro, prodem, demoprogressisti? Dp sulla locomotiva, intanto. I vagoni seguiranno.