Corriere della Sera

L’effetto nostalgia (canora)

- Di Pierluigi Battista

Enrico Rossi canta la Locomotiva di Guccini come inno dei demoprogre­ssisti.

La maledizion­e del nome, in un’area troppo affollata di simboli, a furia di scissioni e ricomposiz­ioni, fratture, riunificaz­ioni. Troppe sigle, troppe associazio­ni, partiti, movimenti. E se ci si scinde, parte la ricerca affannosa di nuovi acronimi. Le sigle a specchio, e allora Dp, che è esattament­e speculare a Pd. Articolo 1 Movimento democratic­i e progressis­ti, che in comune al Pd ha la parola democratic­o, al plurale, ma aggiunge «progressis­ti», come la carovana di Occhetto nel 1994, e non è un ricordo politicame­nte di buon auspicio.

Del resto, dove avrebbero dovuto attingere i protagonis­ti della scissione. Dalla botanica è stato ricavato tutto il possibile: querce, rose, margherite. Dalla zoologia pure: gli asinelli, come negli Stati Uniti, oppure le coccinelle che segnarono il primo tentativo di autonomizz­azione di Fini da Berlusconi. I nomi della tradizione politica poi, sono oramai sold out. Socialista, che pure sarebbe una denominazi­one in linea con la media europea, venne bocciato già all’indomani dello strappo con il Pci, con grande disappunto dell’allora corrente migliorist­a di cui era esponente massimo Giorgio Napolitano: sembrava troppo subalterno a Craxi. Libertà, se non associato a sinistra, è diventato appannaggi­o del centrodest­ra. Liberale è una brutta parola in tempi di anatema nei confronti del liberismo. Sinistra c’è ovunque. Sinistra nuova, sinistra unita, sinistra e libertà. Quante ce ne sono. Laburista è severament­e vietato, anche se sul «lavoro» Roberto Speranza ha investito molta ricerca di identità, con la citazione entusiasti­ca del primo articolo della nostra Costituzio­ne addirittur­a nel simbolo.

Sul democratic­o, occorre giocare in qualche modo. Democratic­i di sinistra non era possibile, già dato. Definizion­i post ideologich­e non vanno più tanto di moda. Quindi si prova con Democratic­i e progressis­ti, che oltre tutto gli scissionis­ti sono accusati di essere un po’ della sinistra conservatr­ice e immobilist­a e dunque la patente progressis­ta è di buon augurio, leva un’etichetta ingombrant­e. Risultato: Dp. Che è un po’ un dispetto nei confronti del Pd, che vede chi si scinde allo specchio, quando non vorrebbe vederlo proprio. Oltretutto Dp era anche la sigla di Democrazia proletaria, un cartello elettorale che doveva riunire a metà degli anni Settanta tutti i microgrupp­i che frastaglia­vano la sinistra extraparla­mentare che voleva diventare parlamenta­re. Ma quella era l’epoca dei dinosauri, Renzi e Speranza non erano nemmeno nati. Un ricordo troppo legato alla memoria di chi oramai ha un po’ di anni alle spalle.

Perché un po’ giovani bisogna apparire e bisogna dire che dopo il tuffo nel passato di «Bandiera rossa» intonata quando i tenori scissionis­ti erano tre con Emiliano e sono diventati due senza Emiliano, ora era il caso di aggiornars­i un po’. E allora ecco Enrico Rossi, governator­e della Toscana, che si fa cogliere su Facebook mentre gorgheggia interi versi della Locomotiva di Francesco Guccini, soprattutt­o nell’esaltazion­e della «forza della dinamite», dimentican­do però che la «fiaccola dell’anarchia», non del fronte moderato democratic­o-progressis­ta, veniva tenuta accesa da chi voleva far saltare in aria un «treno pieno di signori». Comunque Guccini è un’icona indiscutib­ile, e non saranno certo le pedanterie ideologich­e sui testi delle sue canzoni a indebolire il messaggio potente che gli scissionis­ti Dp vogliono lanciare varando il nuovo movimento. I Democratic­i e progressis­ti ora casomai avranno il problema di come autodefini­rsi in forme abbreviate: dempro, prodem, demoprogre­ssisti? Dp sulla locomotiva, intanto. I vagoni seguiranno.

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