Abiti «chiari», per sole donne Il grande patto tra gli stilisti
Niente travestimenti, vestiti e accessori «portabili». A tutte le età
Giurano (solennemente) che non travestiranno mai le donne. È stata la giornata del patto de «l’abito che metto» quella di ieri. Neanche si fossero messi tutti d’accordo gli stilisti, dopo lo sfogo dell’altro giorno di Giorgio Armani sulla moda vista sino ad ora, di fatto, datata, teatrale e poco prét-àportèr. Per esempio, coraggiosa la svolta di Ermanno Scervino che ha scelto di credere un po’ di più nella forza del suo maschile a discapito di tutto quel cotè (anacronistico) iper sexy. Così il dialogo fra i due mondi fa sì che cappotti e tailleur e parka di foggia militare e tessuti sartoriali pregiati diano modernità agli abiti di pizzo od organza scivolati. E stivali cuissard dalla suola robusta energizzano come non mai le vesti bustier di tulle rosa o neri. I colori, decisi, sono l’altra sferzata: un rosso fiammante, il verde militare, l’aviazione.
Anche Antonio Marras, forse tra i primi ad aprire soffitti e bauli, propone una collezione di grande contemporaneità, pur non rinnegando nulla dei suoi codici. Abituato a lavorare sui ricordi ora ne maneggia citazioni e riferimenti con tale abilità che le epoche sfumano in lontananza: tutto è più fluido e leggero e la sensualità doma la teatralità. Ci sono sempre gli abiti scivolati, le sottovesti, le gonne plisse, i bomber, i pastrani, i tailleur, in pizzo, damasco, velluto, tartan, tweed, maglia, seta in patchwork o intarsi o ricami, la materia secondo Marras insomma, solo che oggi questi capi possono vestire tutte le donne, sbarbatelle e non. Tant’è che in passerella ci sono.
Da Bottega Veneta, è vero, le modelle potrebbero prendere e uscire, così come sono. Indubbiamente perfette, raffinate, eleganti, altere. Sin troppo, persino. Tomas Maier sceglie, lui sì, gli anni 40, che sono la sua passione. Spalle decise e punto vita sottile enfatizzato sino al limite: gonnellone e dolcevita,
pantaloni da cavallerizza e cintura, montoni fittati, cappotti double serrati, tailleur precisi. Ma un po’ di rigidità c’è in questa ossessione che si scioglie solo la sera con i lunghi di lamè annodati dietro, molto divina.
Sono invece 40 gli anni di moda che Anna Molinari festeggia con la sua Blumarine. Quale occasione più giusta per ri-raccontare una storia? Così la sfilata è un omaggio a una carriera che è una passione: ecco le sottovesti di raso bordate di visone come i piccoli pull, le giacchine di pelliccia, gli scamiciati di seta. Intramontabili. Maglia insieme, e per sempre da Missoni. Un ritorno forte, deciso, totalizzante sulla passerella: non c’è nulla che non sia un dritto e rovescio. Dai pantaloni che sembrano di chiffon, alle maglie, ai cappotti, alle giacche sino agli abiti in lurex per la sera. Nel print e nello zig-zag di famiglia. Anche tanta tinta unita. C’è il rosa della protesta che percorre tutta la collezione ma il rosso, che sarà il colore del prossimo inverno.
Aquilano e Rimondi scelgono un’immagine di riferimento tanto diversa (finalmente) quanto forte: Giovanna d’Arco. Con quest’immagine dentro gli stilisti costruiscono una collezione che trasmette le stesse sensazioni. Fanno loro la riflessione di Armani ed esigono dalla loro creatività, un tempo iper decorata, abiti reali perché c’è la vita reale da affrontare. Così persino la tunica di cotta omaggio a Giovanna, è in una maglia di plastica ed è portabilissima. Come i cappotti maschili magari ricoperti di paillette trasparenti, i caban corti-corti o over e caldi; gli smoking in angora, i tailleur di tasmania gessato, una semplice ma perfetta camicia bianca. Nessuna collocazione temporale neppure per Rodolfo Paglialunga e la sua Jil Sander: pulizia e volumi, blocchi di colore e materiai caldi. Cappotti e giacche over, sottane morbide ma diritte o gonnepantaloni dal cavallo molto, ma molto basso
È una donna alla Liz Taylor, tra audacia e dolcezza, l’ideale per Lorenzo Serafini che nella Philosophy ha immaginato l’incontro fra l’attrice, giovane, con lo spirito ribelle dei Mood. La femminilità stilosa degli anni Cinquanta e lo spirito ribelle e underground. C’è la «Gatta sul tetto che scotta» con la gonna a ruota, la vita strizzata e la piccola maglia d’angora e c’è la «Teddy girl» con il trench di seta spalmato effetto gomma; l’abito da cocktail preciso e il chiodo di pelle.
Persino Gabriele Colangelo esplora il maschile stemperando un’iper femminilità che alla fine relega a uno stereotipo: le imbastiture sartoriali, per esempio, lasciate libere con i fili pendenti sui tailleur e sui top sono assai interessanti.