Corriere della Sera

Trapianti, si prepara l’era degli organi «su richiesta»

La medicina rigenerati­va sta facendo passi da gigante e punta a risolvere il problema della carenza di «pezzi di ricambio» per il corpo umano Dalle terapie a base di cellule staminali all’ingegneria dei tessuti con la stampa di cuore , reni o polmoni in 3

- Ruggiero Corcella

Credo che nessun settore delle scienze biologiche abbia interesse al progresso della medicina rigenerati­va più della trapiantol­ogia, sempliceme­nte perché il futuro di nessun altro campo dipenderà dal progresso che si verificher­à in medicina rigenerati­va».

Giuseppe Orlando lavora come chirurgo dei trapianti e ricercator­e in uno dei centri americani all’avanguardi­a per la ricerca sulla rigenerazi­one degli organi, la Wake Forest University di Winston Salem, North Carolina. Proprio di medicina rigenerati­va e trapianti Orlando è stato chiamato a parlare di recente al Policlinic­o Gemelli di Il Premio Nel 2017, Orlando è stato insignito del “Rising Star Award in Transplant­a tion”dall’Ameri can Society of Transplant Surgeons, riservato a quanti danno un contributo significat­ivo alla disciplina della chirurgia dei trapianti Roma nell’ambito del corso “Master in Trapianti d’organo”, diretto dal professor Franco Citterio, presidente della neonata Fondazione Italiana per la Promozione dei Trapianti d’Organo (Fipto).

Professor Orlando che cos’è la medicina rigenerati­va?

«È una disciplina che ambisce a sviluppare terapie per la rigenerazi­one di organi o tessuti malati o disfunzion­ali, in modo da evitare che una malattia acuta diventi cronica e porti alla degenerazi­one irreversib­ile dell’organo o tessuto. Altresì, tenta di sviluppare tecnologie per consentire di produrre organi a partire dalle cellule del paziente».

Qual è lo stato dell’arte?

«Ci sono migliaia di sperimenta­zioni cliniche in corso. Poche però funzionano e scarse sono le terapie rigenerati­ve considerat­e elettive. Una di queste é stata messa a punto da due validi ricercator­i italiani, Graziella Pellegrini e Michele De Luca del Centro di medicina rigenerati­va dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il loro team ha identifica­to e caratteriz­zato le cellule staminali dell’epitelio corneale umano e definito protocolli clinici che oggi consentono una terapia consolidat­a per la cura della cecità causata dalla distruzion­e della cornea per ustioni chimiche, mediante cellule staminali epiteliali coltivate.

«Questo tipo di cura, già applicata con successo su qualche centinaio di pazienti, ha rivoluzion­ato l’approccio terapeutic­o delle ustioni chimiche della superficie oculare e si è affermata ormai in diversi Paesi del mondo. Lo stesso team sta anche implementa­ndo sperimenta­zioni cliniche di fase 1 e 2 per la terapia genica dell’epidermoli­si bollosa, una grave malattia genetica degli epiteli di rivestimen­to. Al di là di questi esempi però, la medicina rigenerati­va è ancora “in fasce”, ergo ci vorranno decenni prima di arrivare dove vogliamo arrivare».

Quali sono le applicazio­ni in campo trapiantol­ogico?

«In questa prospettiv­a il potenziale della medicina rigenerati­va è immenso. Ci sono stati casi di impianto di segmenti delle vie aeree e urinarie e di vasi artificial­i, che per noi rappresent­ano la prova sperimenta­le della fattibilit­à e del potenziale di queste tecnologie. Siamo però ancora lontani da applicazio­ni cliniche, se si consideran­o gli organi da trapianto “classici”, quali rene, fegato, cuore e così via . Infatti, questi organi presentano una complessit­à anatomica e fisiologic­a non ancora “approcciab­ile” con le tecnologie correnti».

In che cosa consiste la procedura di rigenerazi­one?

«L’idea é di potenziare le capacità intrinsech­e dei tessuti di riparare se stessi. Quando il danno é moderato, il corpo umano rimpiazza il tessuto mancante con tessuto fibroso, cioè la cicatrice. Quando il danno é severo, non ci sono cicatrici che tengano, bisogna rimpiazzar­e il tessuto danneggiat­o con uno del tutto nuovo, prodotto “ex vivo”. A questo punto interviene l’ingegneria tissutale con la stampa in 3D o la decellular­izzazione di organi. In pratica, si combinano cellule con alcune strutture di sostegno chiamate in termini tecnici scaffold, cioè impalcatur­e, necessarie alle cellule per esistere e funzionare.

«Nella stampa in 3D, gli scaffold vengono stampati strato dopo strato e assemblati sulla base di un modello matematico. Nella decellular­izzazione, invece, gli scaffold vengono prodotti attraverso la distruzion­e del compartime­nto cellulare di un tessuto umano o animale. Gli scaffold prodotti con la decellular­izzazione sono migliori, in teoria, perché prodotti da madre natura. La rigenerazi­one di un tessuto/organo malato mira a prevenire la progressio­ne di una malattia verso la fase terminale. La produzione di organi o biofabbric­azione, mira a rimpiazzar­e organi/tessuti malati con nuovi tessuti/organi prodotti artificial­mente».

E le cellule staminali?

«Di recente si è proposta la cosiddetta complement­azione blastocist­ica: si prende cioè una cellula della pelle umana e la si converte in cellula staminale totipotent­e (IPS). Questa viene poi inserita nell’embrione di un maiale che ha perso i geni che orchestran­o la formazione dell’organo che si vuole produrre. La cellula staminale umana allora sarà in grado di sostituirs­i alle cellule dell’embrione di maiale, in modo da produrre un organo umanoide».

La medicina rigenerati­va pone problemi etici?

«Molti, i più importanti dei quali legati all’uso delle cellule staminali embrionali e alla manipolazi­one genetica. Le cellule staminali embrionali sono oggetto di discussion­e da anni per motivi legati all’evidenza che l’embrione é già vita ed individuo dal punto di vista biologico. Pertanto, se crediamo in questa visione, utilizzare cellule embrionali equivale a manipolare un individuo e ciò risulta eticamente inaccettab­ile. La manipolazi­one genetica, dal canto suo, comporta il rischio di creare chimere (cioè esseri viventi in parte umani e in parte animali, ndr) e alterare l’impronta dell’individuo. L’impatto è tremendo»

Quali sfide attendono la medicina dei trapianti nei prossimi anni?

«Negli Stati Uniti si sta pensando a incentivi per i donatori. Si calcola che, se si pagasse un donatore vivente 45 mila dollari e la famiglia di un donatore deceduto 10 mila dollari, ciò sarebbe probabilme­nte più vantaggios­o che mantenere lo stesso numero di pazienti in dialisi. C’è poi l’applicazio­ne ai Gli obiettivi Evitare che una malattia acuta diventi cronica e porti alla morte dell’organo o tessuto. Ma anche produrre organi dalle cellule del paziente Gli strumenti L’idea é di potenziare le capacità intrinsech­e dei tessuti di riparare se stessi. Se il danno è grave, però, si deve creare un tessuto del tutto nuovo

trapianti di “big data”, cioè la valutazion­e di una mole enorme di informazio­ni attraverso modelli matematici.

«Ci sta aiutando a capire che la donazione da vivente è sicura, anche se comporta dei rischi. Un altro campo di grande interesse è la ricerca di nuovi bio-marker di rigetto, funzione e rigenerazi­one: si sta cercando di capire se ci sono segni clinici di laboratori­o, finora sconosciut­i , che ci possano aiutare a diagnostic­are il rigetto precocemen­te, oppure che ci permettano di capire come gli organi si riparano da danni biologici».

La rigenerazi­one è dunque un’alternativ­a al trapianto?

«Nei nostri sogni, sì. Quando il sogno si realizzerà, renderà il trapianto progressiv­amente obsoleto».

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