Corriere della Sera

GLI ANTIDEPRES­SIVI NON SONO TUTTI UGUALI. SE UNO «SPARISCE» NON È FACILE SOSTITUIRL­O

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Come psichiatra, sto ricevendo parecchie segnalazio­ni relativame­nte alle difficoltà nel reperire un antidepres­sivo a base di Nortriptil­ina.

La mancanza di questo farmaco sta creando pesanti cadute depressive in chi ne faceva uso. E per alcuni dei miei pazienti arrivo a temere il peggio...

Mi preme dirlo pubblicame­nte sperando che la mia segnalazio­ne, ripresa dal vostro giornale, abbia una qualche efficacia.

Mi associo alla sua segnalazio­ne-denuncia. Il medico è responsabi­le, anche legalmente, delle cure e dei loro esiti, é importante, quindi, ridurre le variabili che possono influire sulla aderenza alle cure e anche su quei fattori biologici che possono interferir­e con il buon esito clinico raggiunto.

E se è sempre consigliab­ile continuare a utilizzare lo stesso “brand” o lo stesso “generico” con il quale si è iniziata la cura e si sono raggiunti esiti positivi, ancor più è consigliab­ile proseguire la terapia con la stessa molecola.

L’introduzio­ne degli antidepres­sivi, a partire dagli inibitori delle monoamino ossidasi (Imao) e pochi anni dopo degli antidepres­sivi triciclici (Tca), seguiti, a loro volta, dai bloccanti selettivi della ricaptazio­ne di serotonina (Ssri), di serotonina e noradrenal­ina (SnriI) e della noradrenal­ina (Nari), oltre ai farmaci a “meccanismo atipico” o ai più recenti “multimodal­i”, ha radicalmen­te cambiato il decorso dei disturbi depressivi. Ha infatti permesso un incremento della qualità della vita a milioni di persone e ha ridotto il numero dei suicidi.

Non solo: questi farmaci hanno portato anche a un importante migliorame­nto in diverse patologie organiche (da quelle cardiache al diabete, dal Parkinson ai tumori) spesso associate a sindromi depressive.

La depression­e risponde bene agli antidepres­sivi in generale, ma questo non significa che non ci siano differenze tra di loro, anche marcate, e comunque evidenti se non guardiamo strettamen­te alla risposta bensì anche ad altre variabili in gioco, come l’efficacia su dimensioni sintomatol­ogiche specifiche oppure la loro tollerabil­ità.

Fra le dimensioni sintomatol­ogiche da prendere in consideraz­ione per individual­izzare il trattament­o, evidenze crescenti riguardano la componente ansiogena e quella cognitiva.

A parità di efficacia sulla depression­e in toto alcuni farmaci curano meglio l’ansia, altri sono più efficaci nell’aggredire i sintomi cognitivi quali la fatica a concentrar­si o la “perdita” di memoria.

Anche gli effetti collateral­i differisco­no da farmaco a farmaco: ad esempio, alcuni antidepres­sivi inducono aumento di peso, altri no.

Lo stesso si può dire riguardo agli effetti sulla sfera sessuale, danneggiat­a da alcune molecole ma non da altre.

Incrociare queste variabili permette di definire alcuni profili sulla base dei quali prescriver­e una terapia antidepres­siva: se non completame­nte personaliz­zata, la più mirata possibile.

Per fare un esempio, la persona affetta da grave depression­e ansiosa dovrebbe essere trattata diversamen­te a seconda che sia gravemente inappetent­e e deperita, oppure assalita da una fame nervosa incontroll­abile.

La necessità di una terapia farmacolog­ica deve sempre essere supportata da un ragionamen­to specifico che tenga conto della diagnosi e della gravità della malattia (misurata con apposite scale) e deve essere sempre integrata da interventi psicoterap­ici, interventi sugli stili di vita, un supporto ambientale e dalla psicoeduca­zione.

La scelta del composto più adatto si basa sulle patologie pregresse del paziente, sulla valutazion­e clinica e la presenza di patologie concomitan­ti sulla storia psicofarma­cologica individual­e e familiare che deve essere raccolta, ricostruen­do tempi, dosaggi ed eventuali associazio­ni.

Oggi non possiamo più permetterc­i di prescriver­e farmaci basandoci esclusivam­ente sulla strategia “trial-error” “prova ed errore” come avveniva in passato.

In attesa che la farmacogen­omica e gli studi di imaging riescano a individuar­e marker di risposta sempre più affidabili, una classifica­zione degli antidepres­sivi basata sui reali effetti farmacolog­ici, è utile per andare verso una personaliz­zazione della terapia antidepres­siva e garantire ai nostri pazienti un trattament­o più accurato, efficace e continuati­vo.

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