Corriere della Sera

LA RESA CULTURALE AI 5 STELLE

- Di Angelo Panebianco

In modo non coordinato, una pluralità di forze sembra agire ormai da tempo, con scarsa consapevol­ezza della posta in gioco, per offrire su un piatto d’argento il Paese al movimento Cinque Stelle, fornendo a esso la possibilit­à di imporre, su una parte cospicua dell’opinione pubblica, una propria egemonia culturale. Una classe politica sulla difensiva che non sa contrappor­si alla propaganda dei Cinque Stelle e anzi la subisce, molti mezzi di comunicazi­one che cavalcano, e amplifican­o, la cosiddetta «indignazio­ne popolare contro la classe politica», le inchieste giudiziari­e che toccando ogni giorno gangli vitali della vita pubblica, mantengono sulla graticola la democrazia, non consentono di attenuare lo stato di permanente delegittim­azione della politica rappresent­ativa che ci trasciniam­o dietro dai tempi (primi anni Novanta) di Mani Pulite.

Come scoprire se si è affermata una egemonia culturale? C’è un modo: se una qualsiasi falsificaz­ione della storia viene messa in circolazio­ne con intenti partigiani e se, dopo un po’ di tempo, si scopre che quella falsificaz­ione è penetrata nelle menti di molti, diventando una verità di senso comune, una verità che le persone accettano come ovvia, auto-evidente, allora è possibile riconoscer­e che una egemonia culturale si è consolidat­a.

Durante la guerra fredda il Pci era escluso dai ruoli di governo ma la qualità dei suoi dirigenti e la forza della sua organizzaz­ione erano tali che esso seppe trasformar­e varie falsificaz­ioni della storia, messe in circolazio­ne pro domo sua, in verità di senso comune, accettate come tali persino da una parte rilevante di non comunisti. Si pensi a come si diffuse, anche in ambienti lontani dal Pci, una espression­e come «legge truffa», uno slogan contro la tentata (1953) riforma elettorale della Dc. Oppure, si pensi al successo propagandi­stico della tesi secondo cui fu la resistenza partigiana a liberarci dal fascismo (come se gli americani non c’entrassero per niente), una tesi che serviva al Pci a fini di legittimaz­ione e che si trasformò in verità di senso comune anche per tanti non comunisti. O ancora, si ricordi con quanta abilità il Pci riuscì a convincere vari ambienti che la parola «sinistra» e la parola «anticomuni­smo» fossero incompatib­ili, talché l’anticomuni­smo poteva essere soltanto di destra (questa diffusa convinzion­e diede di certo un contributo alla sconfitta finale di Bettino Craxi). Gli esempi potrebbero essere moltiplica­ti e servirebbe­ro tutti a dimostrare con quanta efficienza, in una condizione difficile, nell’Italia democristi­ana e alleata degli americani, i comunisti riuscirono a costruire una egemonia culturale che finì per diventare incontrast­ata in luoghi strategici per la trasmissio­ne delle idee, dal mondo dello spettacolo alle Università.

Ho citato il caso del Pci perché fu un caso di parziale egemonia culturale ma anche per un’altra ragione. Per dimostrare che le egemonie culturali sono talvolta il frutto della capacità di chi le ha create ma altre volte danno un vantaggio a qualcuno senza particolar­i

meriti di costui. L’egemonia culturale del Pci fu voluta e ricercata da gente di qualità (i dirigenti comunisti di allora). I Cinque Stelle potrebbero beneficiar­e di una egemonia culturale non per meriti propri ma per dabbenaggi­ne altrui, perché altri ne hanno creato le condizioni.

I Cinque Stelle stanno costruendo una egemonia culturale limitandos­i a fare il loro mestiere: attaccare ogni giorno la democrazia rappresent­ativa. Nel loro caso, il contrasto alla democrazia rappresent­ativa (come provano le origini: i Vdays, la loro utopia pseudo democratic­a e illiberale) è la loro più autentica ragione sociale.

La combattono praticamen­te senza incontrare resistenza, sferrano attacchi con la porta avversaria vuota: coloro che dovrebbero difenderla sono scappati oppure restano silenti, oppure si sono uniti al quotidiano linciaggio mediatico della democrazia (l’unica possibile: quella rappresent­ativa appunto) pensando, puerilment­e, che i Cinque Stelle si possano sconfigger­e solo dando loro ragione.

I Cinque Stelle sono i portavoce di una parte del Paese che della democrazia rappresent­ativa vorrebbe sbarazzars­i (“« politici? Tutti ladri»). Si tratti di colpire quel pilastro della rappresent­anza moderna che è il divieto del mandato imperativo, di abbattere i privilegi dei parlamenta­ri (stipendi, vitalizi) o di affermare la presunzion­e di colpevolez­za in caso di inchieste giudiziari­e che riguardino gli avversari, i grillini non incontrano vere opposizion­i. Gli altri sono incapaci di restituire colpo su colpo, sembrano dare per scontato che la battaglia sia perduta. Nessuno che si batta con energia per far capire che i parlamenta­ri non sono cittadini come gli altri (non rappresent­ano se stessi ma elettori che hanno dato loro fiducia) e per difendere dignità e insostitui­bilità della democrazia rappresent­ativa. Ad essere maliziosi si potrebbe osservare che questi attacchi avvengono proprio quando la classe politica è particolar­mente debilitata e fragile, in balia di forze, amministra­tive e giudiziari­e, molto più potenti. Non credendo nelle cospirazio­ni, ci limitiamo a constatare la diffusione di alcune «verità di senso comune» (falsificaz­ioni della realtà) sulle presunte nefandezze della democrazia rappresent­ativa che segnalano lavori in corso: la costruzion­e di una egemonia culturale destinata forse a durare

Spiegazion­e La crescita del ruolo del Movimento è dovuta in gran parte agli errori altrui

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