Corriere della Sera

Popolari venete, i troppi rischi che si stanno sottovalut­ando

- di Daniele Manca Massaro

L’Italia sta correndo gravi rischi sui quali non si sta ponendo la necessaria attenzione. Nella quarta regione più ricca d’Europa, ci sono due banche che ne hanno accompagna­to lo sviluppo e che, a causa di una gestione a dir poco dissennata, con il loro fallimento potrebbero causare gravi danni all’intero Paese. I due istituti sono la Popolare vicentina e Veneto Banca. Un investitor­e privato, e in parte pubblico, Atlante, è intervenut­o l’estate scorsa per evitarne il fallimento (che la burocrazia chiama «risoluzion­e»). Ha concordato con la Vigilanza, la divisione della Banca centrale europea guidata da Danièle Nouy, il percorso di risanament­o e rilancio.

Un percorso che, dopo la decisione del governo di dedicare venti miliardi al sostegno delle banche e delle famiglie e imprese che con esse lavorano, ha visto il possibile affiancame­nto dello Stato all’iter. A questo punto però nella vicenda è entrata, come legge vuole, anche la Commission­e europea, e specificat­amente anche la Divisione Antitrust. Se poi si dovesse arrivare alla «risoluzion­e» potrebbe entrare in campo anche l’Esm, il fondo sempre europeo. Il risultato è una barocca architettu­ra che sta sperimenta­ndo sulle due banche italiane il funzioname­nto di una regolament­azione europea tutt’altro che perfetta e nella quale si scontrano molti interessi. La vigilanza vorrebbe che le banche chiedesser­o con un aumento di capitale più soldi possibile per evitare che un domani possa essere accusata di aver sottovalut­ato il problema. Bruxelles vuole che si mettano meno soldi possibili pubblici per evitare che i cittadini paghino gli errori altrui e quindi il conto del fallimento. E più si ritarda e più l’Esm potrebbe essere della partita, il che significhe­rebbe introdurre sull’Italia elementi forti di controllo sulle nostre politiche. In questo groviglio di interessi contrastan­ti, a rischiare sono i risparmiat­ori, le imprese, le due banche destinate alla fusione, il Veneto e con esso l’Italia stessa. Il governo (unico interlocut­ore della Commission­e) dovrebbe far sentire con forza la sua voce. Si deve far capire che in questo caso non possono essere né i tempi né le regole di una burocrazia punitiva e che tende a salvaguard­are se stessa e non a risolvere i problemi, a scandire il risanament­o e rilancio di infrastrut­ture necessarie allo sviluppo del Paese. Pena l’ingigantir­si delle crisi invece della loro risoluzion­e.

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