Corriere della Sera

Ingroia e i rimborsi spese L’indagine per peculato

I fatti contestati come numero uno di una società della Regione Sicilia Lui nega e critica la fuga di notizie

- Giovanni Bianconi

Il rovesciame­nto dei ruoli si materializ­za in un ufficio del palazzo di giustizia di Palermo con l’interrogat­orio dell’indagato Antonio Ingroia, l’ex magistrato che per un lungo periodo ne è stato uno dei principali protagonis­ti. L’inquirente che voleva smascherar­e i patti indicibili tra lo Stato e la mafia si ritrova inquisito per una storia di presunte ruberie legate a rimborsi spese e indennizzi gonfiati per oltre 150.000 euro. Accusa grave se si rivelasse fondata, ma giudicata inconsiste­nte dall’ex pubblico ministero divenuto avvocato dopo la breve e infelice parentesi politica, che si lamenta della celerità con cui la notizia è stata «data in pasto alla stampa» e invoca l’esempio del procurator­e di Roma Giuseppe Pignatone (non un suo alleato durante la convivenza palermitan­a): «Siccome sono certo del riserbo mantenuto dai magistrati, confido che la Procura di Palermo saprà agire con la stessa energia e saggezza dimostrata dalla Procura di Roma dopo la fuga di notizie sull’inchiesta Consip».

Il riferiment­o è al cambio della polizia giudiziari­a: in questo caso il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, da cui è scaturita l’ipotesi di peculato a carico di Ingroia — nelle sue vesti di amministra­tore della società regionale Sicilia e servizi — per due specifiche contestazi­oni, risalenti al biennio 2014-2015. Da un lato ci sono rimborsi per circa 30.000 euro, giustifica­ti con i soggiorni lavorativi a Palermo (ora Ingroia risiede a Roma), mentre secondo l’accusa sarebbero previsti solo per i viaggi; dall’altro una «indennità di risultato» di 117.000 euro a fronte di un utile di 33.000 euro: un po’ esagerata rispetto al risultato raggiunto.

Davanti agli ex colleghi Pietro Padova e Enrico Bologna, assistito dall’avvocato Mario Serio, l’ex pm s’è difeso contestand­o le norme contestate. Sui rimborsi spese, a suo parere è tuttora vigente una legge del 2000 che nelle «spese di viaggio» include anche il vitto e l’alloggio per i dirigenti apicali residenti fuori sede, dal momento che la successiva modifica del 2006 è stata a sua volta abrogata nel 2016. Quanto all’indennità sproporzio­nata rispetto al risultato raggiunto, la legge del 2006 sarebbe stata modificata nel 2008, e in ogni caso i 33.000 euro di utile dichiarati sono al netto dei 117.000 liquidati all’amministra­tore unico, e di tutte le tasse connesse.

«La verità è che quando sono arrivato la società era sul baratro del fallimento, mentre con la mia gestione ha risparmiat­o decine di milioni — attacca Ingroia —. E noto con stupore che mentre si apre un’indagine a mio carico sulla base di leggi abrogate da tempo, non ho notizie delle mie denunce sugli scandali consumati in seno a Sicilia e servizi prima del 2013 per liquidazio­ni sospette da centinaia di milioni di euro, o fondi europei destinati a imprese che non hanno mai fornito i servizi per i quali erano state pagate».

L’ex pm della «trattativa Stato-mafia» non vuole abbandonar­si a dietrologi­e: «Non era mio costume farlo quando ero magistrato», dice, sebbene qualcuno sostenesse il contrario. Il suo legale Mario Serio (che difese le ragioni della Procura di Palermo nel conflitto con il Quirinale sulle intercetta­zioni di Napolitano davanti alla Corte costituzio­nale), oltre alle questioni giuridiche per cui l’iniziativa di investigat­ori e inquirenti sarebbe infondata sottolinea un altro aspetto: «L’attenzione così puntuta rivolta a una vicenda di per sé così chiara fa sorgere il dubbio che il problema non sia tanto l’ipotetica sottrazion­e di risorse a Sicilia e servizi, quanto la figura di Antonio Ingroia». Un personaggi­o acclamato e osteggiato quando faceva il pubblico ministero, che continua a divedere anche oggi: «Gli si può dire di tutto per le sue scelte da inquirente e da politico — protesta il legale —, ma non è accettabil­e sospettare di latrocinio una persona che ha sempre agito in nome della legalità».

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Ex pm Antonio Ingroia, 57 anni, era in forza alla Procura di Palermo

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