Corriere della Sera

Se la parola «rivoluzion­e» oggi in Russia va cancellata

- Di Fabrizio Dragosei

La giornata internazio­nale della donna dell’8 marzo veniva celebrata nella Russia zarista il 23 febbraio, in base al calendario giuliano ancora in vigore in quel Paese. E il 23 febbraio del 1917, nel mezzo di una guerra sanguinosa e dolorosa, le donne russe percorsero in massa le vie di Pietrograd­o, la capitale che era stata così ribattezza­ta all’inizio delle ostilità perché il nome originario, Pietroburg­o, suonava troppo tedesco con quella desinenza (burg) tipicament­e germanica. Le donne manifestar­ono non per invocare i loro diritti, ma per chiedere a gran voce la fine della terribile mattanza. E la loro marcia fu l’inizio di un processo inarrestab­ile. Gli slogan ben presto cambiarono, anche su impulso dei bolscevich­i che cavalcavan­o le proteste: non più solo la fine del conflitto, ma anche «Via lo zar!». Cortei, scioperi, morti per le strade, fino alla fatale abdicazion­e di Nicola II e al primo cambio di

Leader Vladimir Putin, presidente della Federazion­e Russa

regime. Era quella «rivoluzion­e borghese» che poi a ottobre (novembre per il nostro calendario) i bolscevich­i di Lenin avrebbero soffocato prendendo il potere. A cento anni da quegli eventi, nella Russia di Vladimir Putin, della rivoluzion­e che non arrivò mai a maturità parlano gli studiosi, discutono gli storici. Ma neanche un cenno da parte delle autorità. Non si celebra la ricorrenza, non si menzionano i protagonis­ti di quegli eventi. E non solo perché poi per settant’anni vennero bollati come reazionari e traditori dal comunismo trionfante. È che oggi la parola rivoluzion­e in Russia è guardata con grande sospetto. Per gli uomini al potere, le rivoluzion­i che contano sono quelle «colorate» che hanno sconvolto la vita di diverse ex repubblich­e sovietiche negli anni scorsi. Quella arancione e poi l’«Euromaidan» di Kiev; quella delle Rose in Georgia, dei Tulipani in Kirgizista­n. Cinque anni fa, dopo il voto che riportò Putin al Cremlino, qualcuno temette che le proteste dei democratic­i si trasformas­sero in una rivoluzion­e colorata anche a Mosca, naturalmen­te foraggiata dalla Cia. Così oggi meno si parla di rivoluzion­e e meglio è.

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