Corriere della Sera

Contro-manifesto negli Usa «No al femminismo d’élite solo t-shirt, poco impegno»

- @CostanzaRd­O © RIPRODUZIO­NE RISERVATA di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

Le t-shirt di Dior, i cappellini fucsia, Beyoncé. Il femminismo rimbalza sulle passerelle, non è mai stato così glam. Ma per Jessa Crispin, 38enne autrice di Why I Am Not a Feminist, contro-manifesto che fa discutere gli Usa, sono interventi cosmetici, anche pericolosi, in quanto distraggon­o dai veri obiettivi. Soluzioni? Tornare al femminismo radicale.

Le donne pensavano di polverizza­re il soffitto di cristallo, poi Hillary Clinton ha perso. Dov’è l’errore?

«Nel confondere le operazioni estetiche con quelle sistemiche. Ci siamo convinte che se avessimo indossato le magliette “The Future Is Female”, i cambiament­i della società — dalla lotta alla violenza domestica alle politiche di sostegno alla famiglia — sarebbero seguiti. Annebbiate dal glamour, ci siamo scordate delle vere battaglie. Il punto più basso e ignorante del femminismo d’élite lo ha toccato Lena Dunham, quando ha dichiarato “non ho mai abortito, ma vorrei averlo fatto”. Come si trattasse di un tatuaggio».

Alle più giovani, però, il femminismo radicale non piace. Il movimento #womenagain­stfeminism, un paio d’anni fa, era nato per questo. Molte si riconoscon­o nel femminismo light di Taylor Swift. Perché?

«Perché permette di pensare solo a sé. Perché è più facile coltivare il disimpegno che impegnarsi per cambiare le cose. Perché alle donne viene inculcato di dover essere gentili per piacere, e che se sei una radicale nessuno ti vorrà».

Ma non è rischioso farle sentire in colpa per il modo in cui scelgono di partecipar­e?

«È come dire che meritano un premio per fare atto di presenza. Non c’è un solo modo. I diritti delle donne hanno bisogno del talento di tutte».

Cosa fa per le donne normali Sheryl Sandberg? Perché da Ceo Marissa Mayer ha tolto lo smart working?

Dice che narcisismo e «self-empowermen­t» sono in realtà sinonimi. Ma è forse sbagliato per le donne essere ambiziose? Perché non mirare al potere come gli uomini?

«Ci mancherebb­e. Ma come viene usato quel potere? Se è solo per ottenere soldi e posizione, per declinare al femminile il capitalism­o maschile, allora di femminismo non ha nulla, e non cambierà nulla. Cosa fa per le donne normali Sheryl Sandberg? Dietro l’ipocrisia del self-empowermen­t c’è solo la domanda “dov’è la mia metà dei profitti?”. Oggi il progresso femminile è misurato in quante donne sono amministra­trici delegate. Ma le altre? Perché appena diventata Ceo Marissa Mayer ha tolto alle impiegate lo smart-working, rendendo più difficile conciliare maternità e lavoro?».

Ok. Da dove si può ripartire?

«Ridefinend­o valori e obiettivi. In tutta l’America, le cliniche abortive sono costrette a chiudere. Il mondo va a destra: gli investimen­ti nella pianificaz­ione familiare si riducono, la mortalità femminile aumenta perché si ricorre ad aborti illegali. E questo nei Paesi sviluppati. Milioni di donne, poi, vivono in zone di guerra, sono migranti e rifugiate. Perché il femminismo non s’interessa di loro? Troppo poco glam combattere la povertà?».

Lei scrive che si sprecano tempo ed energie nel femminismo d’indignazio­ne online. Ma Internet non era un grande mezzo di denuncia?

«Quando andiamo a caccia di misogini sul web dobbiamo chiederci cosa ne ricaviamo. Stiamo creando una società migliore o solo rovinando una vita? Cosa conquisti esattament­e facendo perdere il posto a qualcuno? Diminuisce la misoginia nel mondo? Il suo posto andrà necessaria­mente a una persona migliore? Di solito no. Al contrario, si crea un clima di rabbia. Mutuare atteggiame­nti da caccia alle streghe non aiuta. Il sessismo si combatte cambiando la cultura. Un lavoro difficile, lento e nient’affatto glam».

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