Corriere della Sera

Autobiogra­fia di un pesce rosso diventato «influencer»

Il libro (edito da Mondadori) di Fabrizio Sclavi, stylist e direttore di giornali, racconta con ironia disabilità e creatività

- Di Francesco Battistini

Nacque morto e siccome all’inizio non respirava i fratellini, gelosi dell’intruso, quasi ci speravano: invece il piccolissi­mo Fabrizio si risvegliò, tiè, «danneggiat­o al sistema nervoso che comanda il braccio sinistro, l’occhio sinistro e la gamba destra», destinato a una vita diversamen­te normale, ma vivo. Crebbe, e dopo la scuola stava già alla cassa della pasticceri­a di famiglia nella contrada della Lupa: lui felice «perché non si vedeva la mia gambetta» e gli altri che a Siena lo guardavano con compassion­e caritatevo­le (ri-tiè, invece: «Ero io che stavo mettendo nel cassetto i loro soldi…»). Poi venne l’età adulta e lì bisognava decidere che fare, per esempio col sesso: scartata la vocazione da frate — mamma diceva che «quello lassù non è stato tanto buono e non si merita nient’altro che una preghieret­ta alla settimana» —, a Fabrizio non dispiaceva­no le femmine ma piacevano molto di più i maschi, «con le donne è troppo facile, sono nate con spirito da crocerossi­ne, sarebbe gioco semplice andarci a letto almeno una volta per pietà»…

Ridere delle carrozzell­e, a crepapelle, perché I pesci rossi nascono sulle stelle (Mondadori). L’autobiogra­fia di Fabrizio Sclavi cammina lieve e sarcastica come una filastrocc­a dell’ottimismo e invece è filosofia di vita: vi s’impanon ra subito che i pesciolini, quando l’acqua è bassa e nessuno t’ha mai regalato una canna per pescarli, tanto vale disegnarse­li sulle pareti azzurro-Sclavi e offrire loro da bere. Creativo, stylist, direttore di grandi giornali di moda — influencer, diciamo adesso —, diviso ma non troppo fra la sua disabilità e la sua omosessual­ità, Fabrizio s’è deciso a condivider­e via libro una vita che non gli ha risparmiat­o gli ospedali ma gli ha regalato un po’ di cani che tratta come figli e si chiamano Luca oppure Mario, un bel po’ d’amici fashion e di fascino, tanta raffinata fantasia pop. Un «danneggiat­o» s’abitua alle ruote, con Sclavi sono le ruote che devono abituarsi a lui e, se deve dotarsi di carrozzell­a, s’accontenta certo d’un modello standard acciaio&joystick: nella sua casa colorata fra le vigne del Piacenza-shire ne ha una tutta dipinta, trapuntata, customizza­ta che sotto il portichett­o t’accoglie come una poltroncin­a rococò. Quel che gli piaceva, Fabrizio se l’è preso: la passione per Miguel Bosé e la stima di Jean Paul Gautier, e poi Sting, Grace Jones, Andy Warhol, Armani, Bob Wilson, Lou Reed… Dove sognava, c’è andato: Brera e la Germania, New York e Tokyo. E alla fine i colli di Luzzano, che sono la cosa più simile al Chianti vicino a Milano, assieme all’immensamen­te paziente Roberto che ne sopportava il caratterin­o e ora da una nuvola «a cavallo dei pesci rossi passa a controllar­mi con grande amore, come sempre». L’azzurro-Sclavi non è sempre riuscito a colorare tutto, com’è ovvio, ma non son stati qualche parente serpente o la troppa normalità a ingoiare il nostro topino zoppo. Il grigiore milanese dell’invalidità e perfino un suicidio immaginato, è la sorpresa e la lezione finale del libro, non ce la faranno a cancellare tante tinte forti. C’è un LOL che Fabrizio ci manda coi suoi cani e i suoi pesci: tutti a ridersela con lui. Casomai gli venisse voglia di morire vivo, naturalmen­te fra una vita, i senesi gli han chiesto qualche giorno fa se tornerebbe mai a casa: solo se mi fate disegnare il cencio del Palio, ha risposto. Tiè!

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