«Ora nel mondo si parla di leader forti, in realtà serve chi sa avvicinare» Il presidente: frattura tra cittadini e istituzioni, i giovani si impegnino in politica
Lo dice senza mezzi termini, quando parla della necessità che gli italiani recuperino ogni giorno il «senso di comunità», non solo durante le emergenze. E un risvolto non secondario di quel «catalizzatore della vita comune» che dovremmo rimettere in sesto e di cui, per quanto gli costi ammetterlo, denuncia il deficit, è questo: «Si registra una frattura nel rapporto di considerazione, di fiducia tra cittadini e istituzioni... anche se, forse, la frattura è meno forte di quanto viene conclamato».
Ecco, nella diagnosi di Sergio Mattarella, la ferita che produce i maggiori danni nel nostro Paese, inquinandone la sfera pubblica. Per risanarla, specie nel tempo dei cosiddetti «legami liquidi», la condizione è soprattutto una: «Buona volontà da entrambe le parti: da parte delle istituzioni e da parte dei nostri concittadini, rendendosi conto che nelle istituzioni c’è quello che la società esprime. Occorre quindi avere una consapevolezza maggiore, contribuire e collaborare anche alla vita istituzionale». Magari anche attraverso «un impegno attivo dei giovani nella vita politica». Anzi, proprio di questo «si avverte l’esigenza» maggiormente.
La crisi dello Stato-comunità
A lui capita di pensarci in modo così acuto e pressante — racconta — da fargli spesso tornare in mente la lettera di un condannato a morte della Resistenza, un ragazzo di nemmeno vent’anni, il quale, la sera prima d’esser fucilato dai nazifascisti, scrisse ai genitori: «Tutto questo avviene perché voi un giorno non avete più voluto saperne di politica». Bene, sottolinea: «Assistiamo oggi, in un ampio ambito di giovani, a una sorta di rifiuto dell’impegno politico, mentre è molto più ampio l’impegno sociale. Ma quello politico è necessario, per divenire essi stessi protagonisti delle scelte che li riguardano».
Il capo dello Stato parla con La Civiltà Cattolica, la rivista della Compagnia di Gesù diretta da Antonio Spadaro (in un’udienza alla quale è presente anche il preposito generale, padre Arturo Sosa) alla vigilia della pubblicazione del fascicolo 4.000. L’intervista — che apparirà nel prossimo quaderno dei gesuiti in uscita sabato e che sarà anticipata oggi sul loro sito — alza il velo sulla risonanza di certi eventi, italiani e non solo, nell’ottica del Quirinale. E sulle ansie e aspettative con cui quegli eventi vengono da lassù affrontati. A partire, appunto, dalla «frattura» dell’idea di Stato-comunità cara a Mattarella e ora in progressivo logoramento, tanto da rendere palpabile la separazione tra istituzioni e gente comune.
Per l’Ue consenso in affanno
Un problema che il presidente della Repubblica associa al distacco dei giovani dalla politica e, allargando l’orizzonte, «all’affanno dell’Unione europea nel consenso della proprie pubbliche opinioni». Senza drammatizzare troppo lo scenario, gli sembra però che non vengano «adeguatamente rammentati i decenni di pace e benessere» assicurati dal nostro stare insieme nel Vecchio Continente. È una responsabilità grave, nel delicatissimo anno elettorale di Francia, Olanda e Germania. Insomma, per lui «non c’è difetto dell’Ue, né carenza del suo modo d’essere e vivere che possa giustificare il ritorno alle rivalità, alla diffidenza, ai contrasti e al pericolo che si ritorni a quello che abbiamo voluto lasciarci alle spalle» più di mezzo secolo fa. Ci sono, riconosce, «movimenti d’opinione e governi che cercano di chiudersi». Tuttavia «questo è davvero il rifiuto della parte migliore della propria storia». E anche qui l’antidoto che suggerisce a chi guida l’Unione è di «ritrovare e far ricomprendere ai propri cittadini il patrimonio ideale da cui è nata e che è alla base del suo sviluppo». Ciò richiede — come del resto sostengono tutti, tedeschi esclusi — che «si eviti di dare l’impressione di una Ue che si esaurisce nel rispetto delle regole» e, in definitiva, recuperando «l’immagine che presenta ai suoi cittadini e la sostanza delle scelte».
L’esempio del Papa
A Roma Padre Antonio Spadaro, 50 anni, teologo gesuita direttore della Civiltà cattolica, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, 75 anni, al Quirinale in occasione dell’intervista rilasciata dal capo dello Stato alla rivista dei gesuiti Francesco? Mattarella concorda subito. Per lui il pontefice è già un «punto di riferimento per credenti e no, perché appare credibile e ispira fiducia». Ma — aggiunge — se si vuole evitare «una disarticolazione progressiva», i suoi sforzi vanno accompagnati «dalla solidarietà e collaborazione della comunità internazionale». E si spiega: «Ora è di moda, nel mondo, sottolineare la nascita di alcuni cosiddetti “leader forti” che, in realtà, lo sono soltanto rispetto alla propria comunità nazionale. L’esigenza, invece, è quella di trovare leadership capaci di guidare e avvicinare le posizioni, che sappiano indicare prospettiva e speranza».
Un auspicio che vale su diversi fronti. Ad esempio quello dell’emergenza migranti, destinata a diventare «fenomeno strutturale e che non è possibile rimuovere». A meno di non essere «fuori dalla realtà» come chi progetta «muri e barriere che non potranno fermarlo», fuggendo così «dalla responsabilità di affrontare il problema e dal dovere di governarlo». Una sfida difficile e comunque ineludibile. Mattarella lo riconosce, elencandone alcuni snodi. Bisognerà preliminarmente «stroncare il traffico di esseri umani», evitare «con coraggio» diversi errori (come i quartieri ghetto), tutelare i minori e, nel caso dell’Europa, adottare il “migration compact” proposto dall’Italia per migliorare le condizioni di vita nei Paesi da dove nascono i maggiori flussi.
I ragazzi devono diventare protagonisti delle scelte che li riguardano Si eviti di dare l’impressione di una Ue esaurita nel rispetto delle regole