Corriere della Sera

Globalizza­zione, quanto ci costa

- Di Francesca Basso

La globalizza­zione crea vincitori e vinti in Europa e in Usa: la crescita dell’ineguaglia­nza spinge verso i partiti con politiche protezioni­stiche.

La globalizza­zione ha fatto vincitori e vinti. Ovunque. E in Europa come negli Stati Uniti la crescita dell’ineguaglia­nza sociale ha riempito e sta riempiendo le urne di voti che premiano i partiti e le politiche protezioni­ste. Un fenomeno che ora si manifesta con forza, ma che comincia a formarsi a partire dagli anni Novanta e che mette in correlazio­ne economia e politica, incapaci entrambe di proporre soluzioni adeguate.

Una semplifica­zione? Affatto. Come hanno cercato di spiegare economisti e politologi nell’incontro organizzat­o dall’Università Bocconi, in collaboraz­ione con il Corriere della Sera, su «La Globalizza­zione a un punto di svolta? Le sfide per l’Europa», a cui hanno partecipat­o il premio Nobel Michael Spence, Richard Baldwin del Centre for Economic Policy Research, Servaas Deroose della Commission­e Ue, Francesco Giavazzi della Bocconi e Daniel Gros del Ceps. I lavori sono stati aperti con i saluti del rettore Gianmario Verona e del direttore del Corriere Luciano Fontana. La discussion­e del panel è stata preceduta da una sessione moderata da Guido Tabellini in cui sono stati presentati i risultati di alcuni studi. Punto di partenza il lavoro di Italo Colantone e Piero Stanig della Bocconi — The trade origins of economic nationalis­m: import competitio­n and voting behavior in Western Europe — che ha messo in correlazio­ne il successo dei partiti nazionalis­ti e protezioni­sti europei con lo choc subito da numerose aree del Vecchio Continente a causa

delle crescita delle importazio­ni cinesi. L’analisi ha preso in consideraz­ione il periodo 19882007, ma quanto è emerso è emblematic­o di un fenomeno che negli anni si è accentuato. A votare per i partiti nazionalis­ti e a invocare un maggiore protezioni­smo, spiegano i due docenti della Bocconi, sono soprattutt­o le aree in cui prima dell’ingresso della Cina nel

Wto, il settore manifattur­iero era molto forte. La concorrenz­a globale e il libero mercato hanno accentuato il divario tra «vincitori e vinti», con questi ultimi che trovano nel protezioni­smo e nel nazionalis­mo le risposte ai propri timori e alla domanda insoddisfa­tta di ricompensa­zione e ridistribu­zione.

Non bisogna però fare l’errore di individuar­e nella Cina la causa di tutti i mali e della perdita della maggior parte dei posti di lavoro in alcuni settori. Perché come ha evidenziat­o Swati Dhingra, assistant professor of Economics alla London School, «meno del 20% dei posti di lavoro persi sono dovuti alla Cina», il resto è da imputare ai cambiament­i tecnologic­i. Si inserisce in questo tessuto sociale l’emergenza immigrazio­ne che sta travolgend­o l’Europa e sta mettendo in crisi l’Unione Europea, favorendo la crescita dei partiti della destra nazionalis­ta, come ha evidenziat­o Christian Dustmann, professore di Economia allo University College London, in uno studio dedicato alla relazione tra l’insediamen­to dei rifugiati in Danimarca e la crescita dei partiti anti immigrati ed euroscetti­ci. A complicare le analisi dei fenomeni, ha sottolinea­to Gianmarco Ottaviano della London School of Economics, ci sono gli aspetti culturali e irrazional­i di cui comunque bisogna tenere conto. E soprattutt­o, osserva Baldwin, tener presente che alla radice del populismo c’è «l’idea che il popolo è puro mentre le élite sono corrotte».

Certo la soluzione non è la fine del libero commercio. Siamo in un circolo vizioso, come evidenzia Giavazzi, perché limitare gli scambi vuol dire ridurre la produttivi­tà, fondamenta­le per la crescita. L’inquietudi­ne, spiega, è la combinazio­ne tra choc esterni e il desiderio di proteggere solo alcuni. E quando i diversi fattori si allineano nella «tempesta perfetta» — osserva Spence — il risultato è l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca.

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Il panel Da sinistra, Daniel Gros, Richard Baldwin, Servaas Deroose, Paul Taylor, Francesco Giavazzi e Michael Spence ieri alla Bocconi

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