La vendetta di Wallace e i paradossi secessionisti
Fosse un sequel, potremmo intitolarlo «Braveheart 2, la vendetta». In realtà è il paradosso del secessionista, frutto d’una di quelle capriole che l’eterogenesi dei fini ci propone ogni tanto in politica. Già: ricordate William Wallace, l’eroe della resistenza scozzese squartato dai perfidi inglesi, portato vent’anni fa sugli schermi da Mel Gibson e subito eletto nel pantheon separatista da una Lega bossiana a corto di tradizioni e simboli? Ricordate quanto la devolution scozzese abbia agitato gli spadoni di Pontida? Ecco, capita adesso che gli eredi di Wallace ne completino l’opera, con l’ultimo calcio all’Inghilterra di Theresa May. Ci avevano già provato, nel 2014, ad andarsene. Avevano perso il referendum di 10 punti ma erano stati applauditi per il tentativo dagli spiriti inquieti di mezza Europa, Matteo Salvini in testa («la Scozia insegna, ora tocca a Veneto e Lombardia!»). L’importante è scassare, poi si vedrà. Nel 2016 questo mantra ha unito l’olandese Geert Wilders (domani alla prova del voto), la francese Marine Le Pen e l’immancabile Salvini nell’ovazione a Nigel Farage e Boris Johnson, i dioscuri della Brexit, col sogno di portare analoghi referendum anti europei nei rispettivi Paesi. Capita invece che la patria di Wallace chieda di nuovo un referendum, sì, per rompere con Londra, sì, ma — attenzione — contro la Brexit, per restare in Europa: «Quando abbiamo votato due anni e mezzo fa non sapevamo che rimanere nel Regno Unito significava uscire dalla Ue», ha sostenuto la leader di Edimburgo, Nicola Sturgeon. Il calcio, stavolta, arriva dritto negli stinchi anche di chi vuole liquidare l’Europa come sentina di tutti i mali: il prezzo di Brexit, pietra miliare di populismi e trumpismi vari, potrebbe essere più salato. E, comunque, prima di osteggiare il nuovo referendum europeista certi fan di Braveheart dovranno pensarci due volte, non solo per coerenza: si sa, Wallace buonanima non era tenero con chi gli voltava le spalle.