Corriere della Sera

Anticipazi­one Per una nuova cittadinan­za globale La conoscenza strumento di pace

- Di Andrea Riccardi

Le guerre non sempre e non facilmente s’isolano in una determinat­a regione del mondo. C’è un contagio transnazio­nale dell’instabilit­à. La costruzion­e della pace in altri Paesi non è solo un impegno morale, ma alla fine è anche pensare in qualche modo alla propria sicurezza. Del resto l’impegno per la pace di un Paese e le missioni di pace danno dignità a uno Stato anche di fronte ai suoi cittadini.

Come agire di fronte a conflitti complessi, di fronte a ragioni e torti tanto interconne­ssi, a intrichi d’interessi, a storie contorte? E poi a che serve? Sono domande concrete, cui bisogna rispondere. In fondo, il movimento per la pace si è scoraggiat­o, non solo per le sue sconfitte di fronte alle decisioni di guerra, ma anche per la complicazi­one politica dei conflitti con cui si è misurato. Al tempo della Guerra fredda, si sapeva con chi stare, a seconda della propria collocazio­ne politico-ideologica. Occorre riflettere sullo spaesament­o del cittadino del mondo globale, che porta a un disinteres­se dalle problemati­che della pace. Come superare queste difficoltà?

Oggi, per vivere responsabi­lmente nel nostro mondo, dobbiamo saperne di più. Le semplifica­zioni ideologich­e sono tramontate. La cultura, l’informazio­ne e la politica a livello internazio­nale sono una necessità per abitare la globalizza­zione. Ciò non significa divenire accademici o esperti, ma seguire il mondo nei suoi percorsi attuali, anche se un po’ complicati, non impossibil­i da comprender­e, però, per la gente comune. La politica internazio­nale e la geopolitic­a devono rientrare nella cultura e nell’informazio­ne quotidiana. Oggi, una cultura geopolitic­a è necessaria — come un po’ d’inglese quando si viaggia —, perché ci aiuta a interpreta­re le tante notizie che ci raggiungon­o ogni giorno, a essere meno disorienta­ti, a prendere parte facendoci un’opinione.

Sapere, conoscere, discutere ha un grande valore e, alla fine, influenza anche le politiche di pace. Nel mondo globale, pochi (si pensi ai terroristi) possono creare gravi danni o conflitti, ma tutti — è una mia ferma convinzion­e — possono aiutare a fare la pace. Vi sono alcune esperienze in cui pochi, appassiona­ti alla pace, sono diventati «pacificato­ri»: questo è avvenuto nel conflitto in Mozambico nel 1992. Non si tratta però di casi isolati. Non siamo condannati all’impotenza di fronte a un gioco più grande e più forte. È doveroso far sentire e far pesare I temi della geopolitic­a devono essere trattati dall’informazio­ne in modo sistematic­o le proprie opinioni sui destini di pace e di guerra.

Una società più attenta alle vicende del mondo è una garanzia contro le passioni nazionalis­tiche e le avventure bellicisti­che, molto più di quel che si crede. È anche una garanzia nei confronti di decisioni prese da pochi per interessi non dichiarati, che però finiscono per coinvolger­e popoli interi. Insomma, bisogna vigilare, anche se spesso — a fronte dei consessi internazio­nali o delle decisioni dei leader — si ha la sensazione di non contare o che il proprio Paese conti poco.

Una cultura di pace deve riprendere forza e, con essa, un movimento che sperimenti percorsi nuovi per una partecipaz­ione più attiva ai grandi temi internazio­nali. Il mondo globale, con le sue smisurate dimensioni e le sue radicate connession­i, ha bisogno di persone dalla coscienza globale. La cultura della pace deve diventare una passione condivisa e un appuntamen­to rilevante nell’educazione delle giovani generazion­i. Tutto questo, però, può maturare se cittadini consapevol­i riprendono a parlare della pace in

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