Anticipazione Per una nuova cittadinanza globale La conoscenza strumento di pace
Le guerre non sempre e non facilmente s’isolano in una determinata regione del mondo. C’è un contagio transnazionale dell’instabilità. La costruzione della pace in altri Paesi non è solo un impegno morale, ma alla fine è anche pensare in qualche modo alla propria sicurezza. Del resto l’impegno per la pace di un Paese e le missioni di pace danno dignità a uno Stato anche di fronte ai suoi cittadini.
Come agire di fronte a conflitti complessi, di fronte a ragioni e torti tanto interconnessi, a intrichi d’interessi, a storie contorte? E poi a che serve? Sono domande concrete, cui bisogna rispondere. In fondo, il movimento per la pace si è scoraggiato, non solo per le sue sconfitte di fronte alle decisioni di guerra, ma anche per la complicazione politica dei conflitti con cui si è misurato. Al tempo della Guerra fredda, si sapeva con chi stare, a seconda della propria collocazione politico-ideologica. Occorre riflettere sullo spaesamento del cittadino del mondo globale, che porta a un disinteresse dalle problematiche della pace. Come superare queste difficoltà?
Oggi, per vivere responsabilmente nel nostro mondo, dobbiamo saperne di più. Le semplificazioni ideologiche sono tramontate. La cultura, l’informazione e la politica a livello internazionale sono una necessità per abitare la globalizzazione. Ciò non significa divenire accademici o esperti, ma seguire il mondo nei suoi percorsi attuali, anche se un po’ complicati, non impossibili da comprendere, però, per la gente comune. La politica internazionale e la geopolitica devono rientrare nella cultura e nell’informazione quotidiana. Oggi, una cultura geopolitica è necessaria — come un po’ d’inglese quando si viaggia —, perché ci aiuta a interpretare le tante notizie che ci raggiungono ogni giorno, a essere meno disorientati, a prendere parte facendoci un’opinione.
Sapere, conoscere, discutere ha un grande valore e, alla fine, influenza anche le politiche di pace. Nel mondo globale, pochi (si pensi ai terroristi) possono creare gravi danni o conflitti, ma tutti — è una mia ferma convinzione — possono aiutare a fare la pace. Vi sono alcune esperienze in cui pochi, appassionati alla pace, sono diventati «pacificatori»: questo è avvenuto nel conflitto in Mozambico nel 1992. Non si tratta però di casi isolati. Non siamo condannati all’impotenza di fronte a un gioco più grande e più forte. È doveroso far sentire e far pesare I temi della geopolitica devono essere trattati dall’informazione in modo sistematico le proprie opinioni sui destini di pace e di guerra.
Una società più attenta alle vicende del mondo è una garanzia contro le passioni nazionalistiche e le avventure bellicistiche, molto più di quel che si crede. È anche una garanzia nei confronti di decisioni prese da pochi per interessi non dichiarati, che però finiscono per coinvolgere popoli interi. Insomma, bisogna vigilare, anche se spesso — a fronte dei consessi internazionali o delle decisioni dei leader — si ha la sensazione di non contare o che il proprio Paese conti poco.
Una cultura di pace deve riprendere forza e, con essa, un movimento che sperimenti percorsi nuovi per una partecipazione più attiva ai grandi temi internazionali. Il mondo globale, con le sue smisurate dimensioni e le sue radicate connessioni, ha bisogno di persone dalla coscienza globale. La cultura della pace deve diventare una passione condivisa e un appuntamento rilevante nell’educazione delle giovani generazioni. Tutto questo, però, può maturare se cittadini consapevoli riprendono a parlare della pace in