Corriere della Sera

«È come un cappello In libreria nessuno me l’ha mai contestato E io non lo toglierei»

El Kouti: «La legge in Italia lo permette»

- di Marta Serafini

Due lauree, una in Ingegneria mineraria presa in Marocco, un’altra conseguita in Italia in Scienze geologiche e un master in Inquinamen­to ambientale. Bouchra El Kouti, 41 anni, sposata e madre di tre maschi, è impiegata in una nota libreria milanese. E, al lavoro, Bouchra va con l’hijab, il fazzoletto che copre solo il capo e lascia scoperto il volto.

«Ho iniziato a indossarlo dopo che sono arrivata in Italia dal Marocco», racconta. Una libera scelta che — sottolinea ancora la donna — finora non le ha mai creato particolar­i problemi, nemmeno sul luogo di lavoro. «Al contrario, i colleghi sono carini: mi avvisano se si il foulard è spostato un poco o se non è dritto. Lo fanno con affetto. E nessun capo mi ha mai chiesto di togliermi il velo», spiega.

Milano, anno 2017. A Bouchra è capitato di rado di sentirsi a disagio per quel fazzoletto sul capo. «È successo dopo qualche fatto di cronaca. Qualche signora ha borbottato o mi ha chiesto conto della mia scelta. Ma in quei casi preferisco tacere e vado avanti per la mia strada. Rispondo solo se la domanda è posta con tono educato». Nessun particolar­e disagio, dunque, anche di fronte a chi non capisce. «In fondo, è come se avessi un tatuaggio o un cappello. È un tratto che mi contraddis­tingue».

E mentre l’Europa si divide dopo la sentenza di Bruxelles, Bouchra, musulmana praticante, non rinuncereb­be mai al velo. Nemmeno se a chiederlo fosse il suo datore di lavoro. «Premesso che non mi farebbe mai una richiesta del genere, ma anche se così fosse perché dovrei acconsenti­re? Ho fatto tanti sacrifici per studiare, essere una madre e una moglie e nel frattempo continuare lavorare. Non sono un’estremista e non faccio male a nessuno. Quindi non vedo perché dovrei piegarmi a una richiesta che non è contemplat­a dalla legge italiana».

Niente compromess­i allora? «Arrivati a questo punto dovremmo parlare piuttosto di diritti dei lavoratori, di contratti, di condizioni di impiego, di orari. Non di un fazzoletto di stoffa».

E se la religione con la scelta di Bouchra c’entra fino ad un certo punto — «ero musulmana anche prima di iniziare a indossarlo»—, è difficile non sentire che l’atteggiame­nto nei confronti di tutti i musulmani sta cambiando. «Ho una sorella che vive in Francia da parecchi anni. Lì la comunità marocchina è più integrata rispetto all’Italia. Ma ultimament­e c’è meno tolleranza. E questo mi spaventa molto, perché significa che non siamo più liberi di essere noi stessi».

I colleghi e il capo sono carini, anzi mi avvisano se il foulard non è dritto o si è spostato. È solo un fazzoletto di stoffa. Piuttosto dovremmo parlare di diritti dei lavoratori, di contratti, di orari e di condizioni di impiego

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(Foto Nicola Vaglia) Bouchra El Kouti Plurilaure­ata, marocchina, lavora a Milano

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