Corriere della Sera

IL GENOCIDIO DI SREBRENICA, UNA VERITÀ SCOMODA E IL CINISMO DI ERDOGAN

- Di Massimo Nava

Il presidente Erdogan rievoca fantasmi di Srebrenica per denigrare l’Olanda. Dopo l’accusa di simpatie naziste, ecco il carico, la complicità nel genocidio dell’enclave bosniaca che costò la vita a ottomila musulmani. La polemica è strumental­e, sgradevole e dettata dalla disperata necessità del sultano di galvanizza­re il consenso interno. Ma ben venga a fare uscire le cose dagli armadi della memoria, chiusi a doppia mandata, proprio perché certe verità più sono terribili, più sono scomode. Per tutti: a cominciare dallo stesso Erdogan, che ha sempre ostacolato il riconoscim­ento del genocidio armeno, che avrebbe semplifica­to il cammino della Turchia verso l’Europa, venendo meno, appunto, un argomento di facile strumental­ità. Verrebbe dunque da chiedersi da quale pulpito, ma — «grazie» a Erdogan — non buttiamo l’occasione di parlarne. Tanto più che la strage di Srebrenica, dopo 21 anni, continua ad avere contorni oscuri e, fino ad oggi, due soli colpevoli riconosciu­ti e condannati: i serbo-bosniaci Radko Mladic e Radovan Karadzic. È vero che un Tribunale olandese ha condannato lo Stato a risarcire alcune famiglie bosniache, così come è vero (ed è questa una differenza con la Turchia) che l’opinione pubblica e il governo hanno espresso sentimenti di vergogna, imbarazzo e condanna per il comportame­nto dei propri soldati, quel battaglion­e di caschi blu che si voltarono dall’altra parte, in attesa di ordini che non arrivarono mai. Tuttavia, nessuno ha più riesumato responsabi­lità di altri attori, non solo olandesi — il comando francese dei caschi blu, il governo di Belgrado, il governo musulmano-bosniaco di Sarajevo —, in sintesi quel cinico contesto politico diplomatic­o (da Washington, a Parigi, a Londra) che aveva ritenuto il sacrificio di Srebrenica necessario alla spartizion­e territoria­le e agli accordi di Dayton. Furono sacrificat­i anche foreign fighters islamici e per loro non pianse nessuno. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it

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