IL GENOCIDIO DI SREBRENICA, UNA VERITÀ SCOMODA E IL CINISMO DI ERDOGAN
Il presidente Erdogan rievoca fantasmi di Srebrenica per denigrare l’Olanda. Dopo l’accusa di simpatie naziste, ecco il carico, la complicità nel genocidio dell’enclave bosniaca che costò la vita a ottomila musulmani. La polemica è strumentale, sgradevole e dettata dalla disperata necessità del sultano di galvanizzare il consenso interno. Ma ben venga a fare uscire le cose dagli armadi della memoria, chiusi a doppia mandata, proprio perché certe verità più sono terribili, più sono scomode. Per tutti: a cominciare dallo stesso Erdogan, che ha sempre ostacolato il riconoscimento del genocidio armeno, che avrebbe semplificato il cammino della Turchia verso l’Europa, venendo meno, appunto, un argomento di facile strumentalità. Verrebbe dunque da chiedersi da quale pulpito, ma — «grazie» a Erdogan — non buttiamo l’occasione di parlarne. Tanto più che la strage di Srebrenica, dopo 21 anni, continua ad avere contorni oscuri e, fino ad oggi, due soli colpevoli riconosciuti e condannati: i serbo-bosniaci Radko Mladic e Radovan Karadzic. È vero che un Tribunale olandese ha condannato lo Stato a risarcire alcune famiglie bosniache, così come è vero (ed è questa una differenza con la Turchia) che l’opinione pubblica e il governo hanno espresso sentimenti di vergogna, imbarazzo e condanna per il comportamento dei propri soldati, quel battaglione di caschi blu che si voltarono dall’altra parte, in attesa di ordini che non arrivarono mai. Tuttavia, nessuno ha più riesumato responsabilità di altri attori, non solo olandesi — il comando francese dei caschi blu, il governo di Belgrado, il governo musulmano-bosniaco di Sarajevo —, in sintesi quel cinico contesto politico diplomatico (da Washington, a Parigi, a Londra) che aveva ritenuto il sacrificio di Srebrenica necessario alla spartizione territoriale e agli accordi di Dayton. Furono sacrificati anche foreign fighters islamici e per loro non pianse nessuno. Su Corriere.it Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it