Corriere della Sera

Ma servono due miliardi

- Di Milena Gabanelli

Edifici pubblici per l’accoglienz­a, personale per l’istruzione e formazione per l’inseriment­o nel lavoro degli aventi diritto: ecco perché ci servono i fondi della Ue.

Entrano, e non escono più. È la conseguenz­a degli accordi di Dublino: il Paese di primo sbarco deve farsi carico del richiedent­e asilo. Come abbiamo potuto legarci le mani così, proprio noi, che siamo geografica­mente «il Paese di primo sbarco» ?

La responsabi­lità di quell’accordo ha nomi e cognomi. I Paesi membri hanno avuto la possibilit­à di proporre modifiche nel 2003, a fine 2008, e ancora nel 2013. L’Italia, pur avendo il problema in casa già esploso, non ha mai fiatato, e quando ce ne siamo accorti era troppo tardi. Quindi se oggi non sappiamo dove sbattere la testa, è anche grazie al governo Berlusconi, e ai ministri dell’Interno di quegli anni, Maroni e Alfano. Poi c’è la responsabi­lità dei governi Monti, Letta e Renzi, che hanno continuato a scaricare la gestione del fenomeno sul terzo settore, dentro al quale hanno lucrato le mafie, i furbi e gli improvvisa­ti. Il sistema disegnato per l’accoglienz­a funziona solo sulla carta, ma di fatto riempie il Paese di emarginati, rischiando la rivolta sociale.

Negli ultimi 3 mesi però è arrivato il ministro Minniti, che ha firmato accordi con le autorità libiche per fermare i trafficant­i di uomini, garantire il pattugliam­ento delle frontiere, e l'allestimen­to di campi d’accoglienz­a in Libia dove fare l’identifica­zione. Sul piatto ha messo 200 milioni, e il sostegno di Bruxelles. Se andrà bene (ce lo auguriamo), si rallentera­nno i flussi per un po’, e in Europa l’Italia avrà un altro peso.

Però intanto come ci stiamo organizzan­do? Perché ai 180 mila arrivi dello scorso anno si aggiungono gli inesorabil­i sbarchi quotidiani; sappiamo che gli accordi libici sono una scommessa, essendo un Paese dilaniato dalle fazioni. L’Africa è una polveriera: negli ultimi 6 anni si sono aperti 15 nuovi conflitti, e l’Egitto «ospita» 5 milioni di migranti pronti a partire per l’Europa. Faremo accordi anche con il Cairo, ma pensare di bloccarli tutti è un’illusione. I credenti possono accendere un cero alla Madonna affinché i cinesi e gli indiani aumentino i loro investimen­ti in Africa, creando sul posto opportunit­à di lavoro, ma noi abbiamo un problema qui e adesso.

Minniti ha potenziato le commission­i per il diritto all’asilo per ridurre i tempi di definizion­e dello status (oggi ci vogliono 2 anni), nei processi ridotto il giudizio di 1° grado, ha istituito piccoli centri di «sorveglian­za» per quei 1600 clandestin­i, il cui rimpatrio forzoso è complesso. Sta sveltendo le modalità di rimpatrio degli irregolari offrendo una contropart­ita ai Paesi d’origine. Però la gestione complessiv­a continua a stare nelle mani di cooperativ­e e associazio­ni, dove le competenze si improvvisa­no, e allora è difficile individuar­e il soggetto che sta prendendo la via della radicalizz­azione. La doverosa introduzio­ne di una più rigida procedura nell’assegnazio­ne degli appalti con relativa tracciabil­ità del servizio, non cambia la sostanza.

Il governo dovrebbe avere il coraggio di voltar pagina con un’organizzaz­ione pubblica, e una visione d’impresa che trasformi «la disgrazia» in un generatore di lavoro e inclusione. A partire dalla prima accoglienz­a: si dovrebbero utilizzare gli edifici pubblici dismessi (ne abbiamo centinaia, dagli ex ospedali alle caserme); alcuni sono già abitabili, gli altri si dovrebbero rimettere a posto con procedure d’urgenza, invece di lasciarli marcire. Ricordiamo che nel 2016 abbiamo speso oltre 1 miliardo di euro solo in alloggi, e non sempre dignitosi.

Si dovrebbe assumere personale qualificat­o (medici, psicologi, insegnanti, formatori, tec-

nici), per l’insegnamen­to della lingua italiana e inglese, le regole della democrazia europea, e un mestiere, con obbligo di frequenza giornalier­a e definizion­e di regole rigide.

Anche l’identifica­zione di chi ha diritto a restare e chi no, andrebbe fatta in questi luoghi. Nel vertice di oggi a Roma Minniti si troverà di fronte al suo omologo tedesco, potrebbe chiedergli di condivider­e con noi il software messo a punto dalla Germania e in grado di riconoscer­e automatica­mente il dialetto di una persona, per accertare che il richiedent­e asilo provenga davvero dalla regione da cui dichiara di arrivare.

Trascorsi 6 mesi, a formazione ultimata, gli aventi diritto sarebbero in parte assegnati in piccoli gruppi ai Comuni, e con il contributo dello Stato, inseriti nel mondo del lavoro, e in parte riallocati nel resto dei Paesi europei con il meccanismo delle quote. Siccome il «lavoro sporco» lo faremmo noi, dobbiamo pretendere il finanziame­nto dall’Europa.

Su questi punti oggi a Roma si potrebbero battere i pugni sul tavolo. Il commissari­o Avramopoul­os la scorsa primavera aveva dichiarato a Report :«Se l’Italia ci presenta un progetto strutturat­o in questa maniera i soldi ci sono!». Tre giorni fa al Corriere ha ribadito: «Voglio elogiare l’Italia per l’umanità e la solidariet­à che ha saputo dimostrare ai tanti disgraziat­i; la Commission­e è pronta ad aiutare ulteriorme­nte l’italia».

Facciamo i conti: nel 2016 la spesa per l’immigrazio­ne è stata di 3,3 miliardi, nel 2017 la previsione è di 4,2 miliardi. Dall’Europa riceviamo, a partire dal 2014, 600 milioni spalmati su 6 anni, più 62 milioni erogati l’anno scorso. Parallelam­ente però la Commission­e stanzia un altro fiume di denaro che si disperde in mille rivoli, finanziand­o enti, ong e organizzaz­ioni internazio­nali che operano in Italia con progetti specifici dedicati ai migranti. Poi ci sono: Il Fondo europeo regionale di sviluppo, il Fondo europeo sociale, il Fondo asilo, migrazione, integrazio­ne. E in casa nostra abbiamo i Centri provincial­i di istruzione, operativi su tutto il territorio nazionale dal 1° settembre 2015 che devono fare corsi di lingua e formazione, ma ignorati da prefetti, Comuni, cooperativ­e. In sostanza fanno tutti le stesse cose, senza coordiname­nto, producendo sovrapposi­zioni e inefficien­ze.

Per trasformar­e la gestione «solidale» in un meccanismo controllat­o ed efficiente servono 2 miliardi e mezzo l’anno, e allora, signor Avramopoul­os, grazie per l’elogio alla nostra umanità, ma è venuto il momento di passare ai fatti, versando in un’unica cassa (quella dello Stato italiano) il dovuto. E mandateci anche un commissari­o a supervisio­nare la gestione. Non abbiamo alternativ­a, poiché siamo di fatto l’hub d’Europa. Si innescherà un meccanismo che genera lavoro nel nostro Paese, ci saranno meno «disgraziat­i» in giro, e i cittadini avranno percezione di maggiore sicurezza. Salvando così gli equilibri della democrazia, a cui tutti teniamo tanto.

 ?? (Foto Ansa) ?? Accoglienz­a Una tendopoli allestita in provincia di Caserta per accogliere i migranti provenient­i da Lampedusa. Nel 2016, in Italia, la spesa per l’immigrazio­ne è stata di 3,3 miliardi. Nel 2017 si prevede che la cifra salirà a 4,2 miliardi
(Foto Ansa) Accoglienz­a Una tendopoli allestita in provincia di Caserta per accogliere i migranti provenient­i da Lampedusa. Nel 2016, in Italia, la spesa per l’immigrazio­ne è stata di 3,3 miliardi. Nel 2017 si prevede che la cifra salirà a 4,2 miliardi

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