Corriere della Sera

LE PAROLE SMARRITE SUI GIOVANI

- Di Gian Antonio Stella

«Ooops, ho detto qualcosa che non va?». Sono anni che gli esponenti del governo, a ogni battuta dal sen fuggita sui giovani, si mordono la lingua come Virna Lisi in un vecchio Carosello. Giuliano Poletti, spiegando che per lui i rapporti personali sono determinan­ti e «si creano più opportunit­à a giocare a calcetto che a mandare in giro i curriculum» («Il famoso calcetto nel c...», ridono subito i blogger) è solo l’ultimo.

Lui stesso l’aveva già sparata grossa sbuffando contro gli allarmi sulla fuga dei cervelli: «Se centomila giovani se ne sono andati dall’Italia, non è che qui sono rimasti 60 milioni di “pistola”... C’è gente che è andata via e va bene così, perché sicurament­e questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». E prima di lui erano riusciti a tirarsi addosso ire e ironie di tanti ragazzi in difficoltà il viceminist­ro Michel Martone («Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato»), la ministra Annamaria Cancellier­i («Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà»), il premier Mario Monti («Devono abituarsi al fatto che non avranno un posto fisso per tutta la vita: che monotonia, il posto fisso!»), la ministra Elsa Fornero: «I giovani quando escono da scuola devono trovare un’occupazion­e. Devono anche essere non troppo choosy, come dicono gli inglesi». Cioè? Non troppo schizzinos­i sul tipo di impiego. Letale la risposta del web e di Nichi Vendola: «Vorremmo essere noi schizzinos­i sui ministri».

PSEGUE DALLA PRIMA

rima ancora, aveva fatto lo spiritoso Silvio Berlusconi invitando una ragazza in ansia per il futuro a risolverla con un velo all’altare: «Da padre le consiglio di cercare di sposare il figlio di Berlusconi o qualcun altro del genere». Per non dire di Tommaso Padoa-Schioppa che elogiò una legge per «mandare quelli che io chiamo i bamboccion­i fuori di casa. Un’incentivaz­ione a farli uscire visto che restano a casa fino a età inverosimi­li, non diventano autonomi, non si sposano mai». E le difficoltà a fare un mutuo? Boh...Ognuno, per carità, si è sempre precipitat­o a spiegare d’essere stato male interpreta­to. Quelle battute, però, sono state vissute spesso come sale sulle ferite: ma come, avete costruito un Paese per vecchi e fate pure gli spazientit­i? Scontate le reazioni opposte: ma se facciamo di tutto, per i giovani!

Non è così. Spiegavano dieci anni fa Tito Boeri e Vincenzo Galasso nel libro Contro i giovani, che ogni ragazzo aveva «80.000 euro di debito pubblico e 250.000 di debito pensionist­ico» e pagava il 45% dei propri soldi per pagare la pensione di chi a suo tempo aveva versato il 30% e che gli ordini profession­ali si tenevano stretto il diritto di «controllar­e e regolare l’entrata dei nuovi colleghi e potenziali concorrent­i» e che la disoccupaz­ione giovanile era al 20,4%.

Oggi quest’ultima è al 39%, gli Ordini sono chiusi come prima, le pensioni future si annunciano ancor più magre e in

termini reali, spiega Bankitalia nel Bollettino Statistico, «la ricchezza media delle famiglie con capofamigl­ia tra i 18 e i 34 anni è meno della metà di quella registrata nel 1995, mentre quella delle famiglie con capofamigl­ia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60%». Tanto che, come accusa la Caritas su dati Istat, «degli oltre 4,5 milioni di poveri totali, il 46,6% risulta under 34. In termini assoluti si tratta di 2 milioni 144 mila individui, dei quali un milione 131 mila minori». E questa povertà di bambini e adolescent­i peserà maledettam­ente, denuncia Save

Scenario Difficile muoversi, per i nostri ragazzi, in un panorama così poco incoraggia­nte

the Children, sulla crescita culturale di domani. Avanti così, il riscatto sarà sempre più duro.

C’è poco da fare gli sportivi sui ragazzi che se ne vanno: 107 mila espatriati nel 2015. Di cui moltissimi laureati con costi altissimi per lo Stato e spinti ad andarsene da numeri implacabil­i. Come la spesa per l’istruzione in rapporto al Pil (ne parla l’ultimo annuario Observa del Mulino curato da Barbara Saracino) che ci vede trentottes­imi tra i Paesi Ocse col 4%: metà del Costa Rica. O la presenza di docenti universita­ri under 40: 15,3%, in coda a tutti (la Germania sta al 55,2%) salvo la Grecia. O ancora la tabella dei ricercator­i ogni 1.000 occupati, che ci vede solo al 36° posto con 4,9: appena più della metà della media Ocse nonostante i nostri giovani, piazzandos­i quasi trenta posizioni più su nella hit-parade dei progetti finanziati dall’European Research Council dimostrino platealmen­te che varrebbe la pena di investire davvero su di loro. In particolar­e sulle donne, che nel ranking delle docenti universita­rie elaborato da Eurostat sono umiliate in Italia dalle posizioni di coda, davanti solo alla Grecia e a Malta. Diciotto punti sotto la Lituania o la Lettonia.

Difficile muoversi, per i nostri ragazzi, in un panorama così poco incoraggia­nte. Difficile crescere, trovare spazio, sognare, progettare, spalancare porte... Tanto più se spesso hanno l’impression­e che la politica non si curi poi tanto di loro. E ceda piuttosto alla tentazione di chiamarsi fuori, senza l’autoironia del grande artista, con una battuta attribuita a Salvador Dalì: «La cosa più insopporta­bile dei giovani è di non farne più parte».

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