May ha firmato la lettera d’addio Ore 12.30: Londra avvia la Brexit
Il Parlamento scozzese chiede di votare sull’indipendenza. Niente tetti in Gran Bretagna per i lavoratori Ue
Il dado è tratto. Ieri sera Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha firmato la lettera con cui invoca l’articolo 50 dei Trattati europei, ossia la procedura per l’uscita dalla Ue. La missiva arriva fisicamente stamattina a Bruxelles: non una copia elettronica, ma l’originale. Alle 12.30, con la busta in mano, l’ambasciatore britannico, Sir Tim Barrow, percorrerà i 150 metri che separano i suoi uffici dal Consiglio europeo e la consegnerà personalmente al presidente del Consiglio, Donald Tusk.
Da quel momento esatto scattano i due anni previsti dai Trattati per completare la procedura di divorzio: al termine della quale la Gran Bretagna cesserà di essere membro di quell’Unione di cui ha fatto parte finora per 44 anni. Un evento storico: sino a oggi l’Europa aveva conosciuto solo allargamenti, mai abbandoni.
«È uno dei momenti più significativi che il Regno Unito ha affrontato per molti anni», ha commentato ieri la premier. Il cui obiettivo dichiarato è «assicurare una nuova relazione, profonda e speciale, con l’Unione Europea». Anche se Londra ormai guarda a orizzonti più ampi: «Dobbiamo cogliere questa opportunità per uscire nel mondo e dar forma a un ruolo più grande per una Gran Bretagna globale».
Eppure, al momento di lanciarsi dal trampolino, gli inglesi sembrano attraversati da un brivido di incertezza. Perché dopo mesi di dichiarazioni bellicose, all’improvviso, nelle ultime 48 ore, si è fatta strada quella che il Financial Times definisce una «irruzione di realismo».
Lo stesso David Davis, il ministro per la Brexit che condurrà i negoziati, ha detto alla Bbc lunedì sera che Londra non ha più intenzione di mettere un tetto all’arrivo degli immigrati europei: se l’economia dovesse averne bisogno, il loro numero potrebbe addirittura salire. Se si considera che tutta la campagna per l’uscita dall’Europa è stata condotta sulla necessità di ridurre drasticamente gli arrivi di stranieri, è una clamorosa marcia indietro. Ma non è la sola.
Theresa May aveva minacciato di far saltare le trattative, dicendo che «nessun accordo è meglio che un cattivo accordo». Ora dal governo fanno sa-
pere di considerare un simile esito potenzialmente catastrofico. E anche l’idea di fissare la data di oggi come quella a partire dalla quale sarebbe stata limitata la libertà di movimento degli europei, è stata accantonata.
Londra è chiaramente sotto pressione: gli ambienti economici europei e giapponesi stanno mandando messaggi con cui fanno capire tutta la loro preoccupazione di fronte alla prospettiva di una «hard Brexit», ossia di una rottura netta col mercato comune.
Ma la minaccia più grande arriva dall’interno del Regno Unito: ieri il Parlamento scozzese ha votato a favore di un nuovo referendum sull’indipendenza. L’orgogliosa nazione del Nord non ha nessuna intenzione di seguire gli inglesi fuori dalla Ue. A uscire dall’Europa potrebbe non essere tanto la Gran Bretagna, quanto una piccola Inghilterra.