Corriere della Sera

La guerra di Massimo ai trafficant­i di eroina

- Paolo Salom

dal nostro inviato a Kabul

La guerra di Massimo contro i signori della droga afghani non ha orari, non conosce festività e si svolge, come in quei giochi di intelligen­za dove bisogna indovinare una figura immersa in un’altra, sullo sfondo del conflitto contro i talebani. «Gli scontri armati sono un dato di fatto che non si può ignorare — ci dice, seduto su un divanetto nel suo ufficio a Kabul —. Può capitare che un’operazione pianificat­a per settimane venga interrotta da un attentato che investe l’area dove stai per agire. Oppure i sospetti che stiamo seguendo improvvisa­mente si facciano scudo dei combattime­nti che sbarrano la strada a interi distretti di questo immenso Paese».

Massimo è vicequesto­re della Polizia in forza alla Direzione centrale servizi antidroga (Dcsa), ufficio interforze (Carabinier­i, Polizia, Finanza) che porta la lotta al narcotraff­ico là dove ha origine. «Siamo in diverse sedi nel mondo — spiega al Corriere — e non svolgiamo soltanto un lavoro di prevenzion­e contro gli stupefacen­ti diretti in Italia ma siamo veri e propri esperti per la sicurezza che lavorano presso le rappresent­anze diplomatic­he». Massimo (per ragioni di sicurezza non possiamo indicare il cognome), un passato da «operativo» in Italia, ha quasi concluso la sua missione biennale in uno dei Paesi più pericolosi non soltanto per il conflitto che lo devasta da oltre un trentennio. Ma anche perché l’Afghanista­n, al momento, è il centro nodale del commercio di oppio: qui viene prodotto l’80 per cento della componente fondamenta­le dell’eroina — droga che è tornata ad affliggere anche l’Italia — con un giro d’affari tra i 2 e i 4 miliardi di dollari (7-10% del Pil nazionale). Secondo i dati dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite (Unodc), nel 2016 le piantagion­i distribuit­e soprattutt­o nelle regioni di Helmand, Badghis, Nangahar, hanno «regalato» il 43 per cento in più di oppio sull’anno precedente: da 3.300 a 4.800 tonnellate. Non solo, in barba a tutti gli sforzi per convertire i campi a coltivazio­ni «innocue» (principalm­ente zafferano), gli ettari destinati alla droga son passati da 183 mila a 201 mila.

Una guerra già persa? Il vicequesto­re, barba lunga («per rispetto alle usanze locali») precocemen­te imbiancata, capelli a zero e uno sguardo nervoso di chi è abituato a reagire agli imprevisti in una frazione di secondo, allarga le braccia: «Certo, qui si vanno a smuovere interessi enormi. Ma dobbiamo intenderci, in Afghanista­n la droga non è qualcosa di estemporan­eo, utilizzata per sballare e divertirsi, nonostante le conseguenz­e. Qui l’oppio spesso è una necessità». Infatti: chiunque sia passato dall’Afghanista­n,

Capita che un’azione pianificat­a per settimane venga interrotta da un attentato che devasta l’area dove stai per agire

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