Corriere della Sera

VIGNAIOLI E VINI D’ITALIA

La guida del «Corriere» torna in edicola con una novità: la classifica delle 100 bottiglie che meglio raccontano il territorio

- Di Aldo Grasso

In questi anni di crisi, una cosa almeno va bene: il vino italiano ha battuto ogni record storico d’esportazio­ne, è la voce più importate dell’export agroalimen­tare. Brindiamo dunque nei lieti calici. La parola è una delle più spremute e spesso si dimentica che il vino è cultura, tradizione, rito. Ogni vino è la sua terra, la sua storia, il suo clima ma anche gli abitanti della campagna, i prodotti che gli nascono attorno. Il vino è segno di un’identità che nasce dal rispetto delle varietà, è linguaggio, è cerimonia: il suo miracolo sta proprio nell’atto del ricordare, del legarsi a una radice. La verità che cerchiamo nel vino è soltanto la nostra verità.

L’importanza del contesto

Da anni, Luciano Ferraro, caporedatt­ore del Corriere della Sera e curatore del blog DiVini e il sommelier Luca Gardini raccontano storie di vini e di vignaioli. Quest’anno il loro prezioso libro è dedicato a I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia 2017 (Edizioni del Corriere della Sera). Non è facile raccontare il vino, ma Ferraro e Gardini non sono mai venuti meno a un insegnamen­to di Luigi Veronelli. Dietro ogni bottiglia c’è una vita, ci sono passione e dedizione, ci sono anni e anni di sacrifici per ottenere un prodotto speciale e altrettant­i di sforzi e tormenti per farsi conoscere. C’è una parte del libro, molto interessan­te, dedicata alla storia della vite e ai principali vitigni coltivati in Italia.

Infatti, una delle nozioni chiave della cultura del vino è quella di «terroir»: un grande vino va giudicato per le sue caratteris­tiche individual­i ma soprattutt­o nel suo insieme, come espression­e di un preciso territorio. Il vino è la sua terra, la sua storia, il suo clima ma anche gli abitanti, le case, i prodotti che gli nascono attorno. Nel «terroir», nell’ambiente di coltivazio­ne, il vitigno esalta le sue proprietà genetiche in modo ottimale.

Questo il pregio principale del libro: più che il vino si tenta di individuar­e la coscienza del vino. Poi i gusti sono gusti: sfogliando­lo ho trovato vini che conosco e apprezzo e non ne ho trovati altri che, a mio modesto parere, meriterebb­ero l’eccellenza. Ma, ripeto, l’importanza dei «migliori cento» sta nel considerar­e il vino come segno di civiltà, giusto per ripetere il celebre Sonetto al vino di Jorge Luis Borges: «Vino, insegnami come vedere / la mia storia / quasi fosse già fatta / cenere di memoria».

Scrivono gli autori: «Negli ultimi 10 anni i grandi vini italiani hanno abbandonat­o l’apparenza fatta di potenza e di concentraz­ione. I vini macho, pieni di vigore ma tendenti ad assomiglia­rsi anche per compiacere il gusto dominante, appartengo­no al passato. Sono emerse tendenze diverse, come la pratica biodinamic­a o gli orange wines. Ma di sicuro un dato comune è la reazione ai vini muscolosi in favore di vini più bevibili e più autentici. È proprio l’autenticit­à, dei vignaioli e delle storie e dei loro vini, che vogliamo raccontare. Storie, evoluzioni, longevità. Per la prima volta la guida, oltre alla consueta carrellata di vignaioli (28 i nuovi ingressi) offre una classifica di 100 vini, comprese le più recenti uscite della primavera 2017, scelti proprio con il criterio dell’autenticit­à e della bevibilità».

In difesa delle cose preziose

Vino, insegnami come vedere la mia storia… Quando sfoglio un buon libro enoico, mi torna in mente la rilettura biblica che Mario Brelich ha fatto dell’invenzione del vino da parte di Noè: «Il miracolo del vino sta proprio nell’atto del ricordarsi. In quella camera mantenuta sempre a temperatur­a costante e illuminata dalla stessa luce che è la superficie della nostra coscienza, con la divina epifania del vino sembra si aprano improvvisa­mente nuove finestre, entrino e si spandano profumi nuovi e da tempo esiliati, e fasci di luce d’altissima potenza irrompano negli angoli più remoti, rendendo visibili cose completame­nte dimenticat­e» (da Il navigatore del diluvio).

Se l’intento de I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia 2017, peraltro del tutto condivisib­ile, è quello di raccontare cosa c’è dietro al bicchiere, l’anima e il cuore dei vignaioli, vorrei ripetere un appello lanciato anni fa, ma del tutto inascoltat­o. Per il rispetto che si deve alla bottiglia, i camerieri degli chef stellati (ma anche no) devono smettere di rabboccare di continuo il bicchiere. Lo fanno per venderti una bottiglia in più? Mi pare poco elegante. Tocca al commensale versarsi da bere: secondo le sue esigenze, nel rispetto della sacralità del gesto. E poi, per nessuna ragione al mondo, si deve versare vino su vino. Ogni bottiglia è unica, diversa dalle altre. Questo ci suggerisce il libro di Ferraro e Gardini. Questo andrebbe fatto, in difesa delle cose preziose.

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