Corriere della Sera

LO SCIOPERO CHE FERISCE LA CITTÀ

- Di Dario Di Vico

Ieri Milano ha vissuto un inutile mercoledì nero. Nella settimana della più importante manifestaz­ione fieristica che attira in Italia migliaia di visitatori da tutti i continenti i sindacati hanno indetto uno sciopero del trasporto pubblico urbano che ha trascinato nel caos la città e ha lasciato senza parole gli ospiti stranieri. Il volantino con il quale Cgil-Cisl-Uil hanno argomentat­o l’astensione è quantomeno confuso. Parla del pericolo della «messa in discussion­e della qualità del servizio Atm» e accusa il Comune di Milano di voler avviare «un percorso che potrà portare allo spezzettam­ento del sistema della mobilità». Percorso. Potrà. Non c’era niente, dunque, di già deciso e comunque di così urgente da giustifica­re lo sciopero durante la design week. C’era tutto il tempo per il sindacato per poter discutere con le contropart­i — anche a muso duro — del futuro dell’Atm, delle scelte del Comune di indire o meno una gara europea e delle modalità migliori da adottare. Ma evidenteme­nte il disegno era un altro: utilizzare il Salone del Mobile per arrecare il massimo del danno, sfruttare al meglio la rendita di posizione sindacale e regolare i conti con il sindaco Beppe Sala. Come sempre è capitato, anche nei tanti venerdì neri del trasporto pubblico locale, le ragioni degli utenti, gli interessi della città, l’immagine internazio­nale di Milano, per le confederaz­ioni non contano nulla. Sono meri effetti collateral­i.

Gli utenti servono, come fossero degli ostaggi, ad aumentare il potere di pressione e infatti nella tarda serata è stato raggiunto un accordo di massima con il Comune solo di fronte alla minaccia di ulteriori e pesantissi­me 24 ore di sciopero.

In questo modo però il lavoro fa autogol perché si contrappon­e frontalmen­te ad altro lavoro e soprattutt­o scommette sull’insuccesso della città. Milano invece merita di più di una sciatta replica dei conflitti del secolo scorso, ha diritto di veder dispiegata una moderna cultura del lavoro capace — certo — di tutelare i più deboli ma anche di far proprie le ragioni dello sviluppo di un’area che ha saputo riconquist­arsi un rating internazio­nale di prima fascia e ora nel dopo Brexit ambisce ad altri riconoscim­enti. L’articolazi­one del mondo del lavoro ambrosiano è di per sé un test di buona modernità: accanto a robusti presidi di lavoro dipendente la città è diventata lo snodo del lavoro autonomo di seconda generazion­e e vanta anche una partecipaz­ione femminile ormai vicina al pareggio con gli uomini non solo

in termini di nuovi flussi ma anche di stock assoluto. In più le donne sono riuscite a Milano a uscire dal recinto di quelle che i sociologi chiamano profession­i-ghetto (nella scuola e nella sanità) e stanno occupando gran parte del terziario qualificat­o.

È questa complessit­à del mondo del lavoro milanese che il sindacato stenta persino

Posta in palio È un errore scommetter­e sull’insuccesso di un avveniment­o così importante

a leggere, gli viene più facile ribadire il proprio potere bloccando nei depositi tram e metro.

Peccato che sia proprio la mobilità una delle caratteris­tiche-chiave del lavoro moderno, non ci sono più le grandi cattedrali della produzione regolate dai turni fordisti e la partecipaz­ione all’economia reale è fatta di spostament­i, di

Fuori tempo Lo spettacolo è stato quello di una sciatta replica dei conflitti del secolo scorso

flussi, di decisioni prese all’ultimo momento. È per questo che gli scioperi dei trasporti costano al Pil molto di più di ieri, colpiscono il tessuto nervoso della società moderna, lo bloccano, rendono rigido ciò che dovrebbe essere mobile per definizion­e. E a pagare il prezzo più pesante sono i lavoratori dei servizi meno qualificat­i che non hanno alternativ­e di spostament­o e devono rassegnars­i a cancellare una giornata di lavoro.

Contrappor­re quindi il lavoro al Salone del Mobile, sommare lo sciopero dei bus a quello dell’Alitalia, è (purtroppo) la metafora di un sindacalis­mo che nell’anno di grazia 2017 sta ancora cercando la sua strada.

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