Corriere della Sera

Rocca: ora serve discontinu­ità con uno choc per la crescita

«Più di 90 imprese con oltre un miliardo di fatturato, a Monaco solo 50»

- di Giangiacom­o Schiavi

Lo dicono tutti: è il momento di Milano. E Milano c’è. Corre. Cresce. Il Pil all’1,2 per cento, il doppio del Paese. L’export regionale ai massimi storici, 112 miliardi. Il manifattur­iero che vola, più di Monaco, il doppio di Barcellona. «Il nostro futuro è in Premier League, con Parigi e Londra», azzarda il presidente di Assolombar­da Gianfelice Rocca. Il Salone del mobile porta nelle strade l’effervesce­nza dei creativi. «Siamo diventati la Woodstock del design», dice. Si alzano le aspettativ­e e anche le responsabi­lità: sullo sfondo c’è sempre qualche ombra, burocrazia, tempi della giustizia, scioperi, illegalità, ma gli indicatori oggi sono fuori dalla zona-pessimismo: virano su fiducia e positività.

Quattro anni fa Rocca sognava di far volare Milano per far volare l’Italia. Milano c’è riuscita, con l’Expo che ha dato una grossa mano. L’Italia no. «Servirebbe uno choc di crescita, un segnale di discontinu­ità» spiega il presidente che a maggio passerà il testimone. «Non credo a segnali forti come i diversi tipi di reddito garantiti dallo Stato. Bisogna scegliere dove investire. Credo che l’autonomia differenzi­ata e potenziata sia un valore. Ed è del tutto possibile, secondo l’articolo 116 della Costituzio­ne…». Presidente Rocca, vuol dire che servirebbe una legge speciale

per Milano, un diverso status regolato dalla Costituzio­ne?

«Milano ha le caratteris­tiche per essere una grande cittàmondo, fortemente radicata in Europa: ma per crescere e competere si deve presentare con le caratteris­tiche di una capitale. Questo ruolo oggi è dimezzato. Una legge speciale per regolare una grande metropoli con un raggio di 60 chilometri, darebbe certamente una spinta in più».

E quale sarebbe il vantaggio per l’Italia?

«La corsa di Milano può produrre un alone, un effetto percolazio­ne, può avere ricadute positive sul lavoro, sui giovani, sull’innovazion­e. Il metodo Milano sta dando risultati e può essere emulato: la città ha puntato sull’inclusivit­à, sulla collaboraz­ione trasparent­e tra i suoi vari soggetti e si è data un percorso. Poi ha messo la freccia...»

Dopo l’Expo si dice che ci saranno le Olimpiadi

«La vera Olimpiade di Milano è quella della conoscenza, che si sta realizzand­o con il dopo Expo. Ma anche una seconda

Per la crescita Il Pil sale dell’1,2%. Servirebbe uno choc di crescita, un segnale di discontinu­ità

Olimpiade potrebbe avere ricadute positive».

Milano e l’Italia giocano insieme in Europa la partita per l’Agenzia del farmaco. Con quali punti di forza si presenta la città rispetto alla concorrenz­a?

«Con quattro punti di forza, che sono i capitali di Milano. Quello economico, con 90 imprese con più di un miliardo di fatturato, contro i 50 di Monaco e i 37 di Barcellona. Quello scientific­o e tecnologic­o, con le 8 università che stanno scalando le classifich­e mondiali. Quello estetico, che si rafforza con vivibilità, design e fashion week. Ma soprattutt­o la forza della città è il capitale sociale: la Milano attenta agli ultimi, con i suoi oltre trecentomi­la volontari, l’impegno civile, la lotta allo spreco di cibo, la raccolta differenzi­ata, il record europeo di utilizzo di bike sharing e car sharing…».

Ci sono anche le questioni irrisolte, le periferie dove si è fermato Papa Francesco, l’assedio dell’immigrazio­ne, le nuove povertà.

«Milano sta cercando di dare risposte, come le ha date in passato con la sua storia. Umanesimo e tecnologia, insegnava il fondatore del Politecnic­o, Brioschi. Il capitale sociale di Milano non è una somma, è un moltiplica­tore. Unisce giovani e anziani, quartieri centrali e periferici. Rafforza tutto il resto, crea un valore esportabil­e nel Paese».

Tutto questo tam tam intorno a Milano non rischia di creare un effetto contrario, suscitare invidie invece che emulazione?

«Questo è un rischio. Ma è qui che si sta cercando l’aggancio con il futuro, si vuole favorire l’esplosione della qualità senza perdere l’umanità. Milano è un pezzo dell’insieme, una componente fondamenta­le della crescita del Paese. La sua forza di trasciname­nto non sottrae risorse, le espande per far salire la media».

Negli ultimi mesi Milano è tornata attrattiva per i giovani. Lei in passato ha parlato di alleanza tra generazion­i. Anche questo può diventare un laboratori­o per il Paese?

«Milano è in controtend­enza rispetto all’Italia. Nell’ultimo biennio i giovani tra i 15 e i 34 anni sono aumentati del 4,8 per cento: sono una quota di 30 mila residenti di fronte ad un aumento della popolazion­e dell’1 per cento. Milano resta per loro il miglior posto dove iniziare a fare impresa. La disoccupaz­ione è un problema, ma in Lombardia sono stati recuperati 18 mila giovani rispetto al 2015. L’alleanza tra generazion­ale è in atto nelle aziende, con il passaggio dei saperi e la capacità di rimescolar­e gli ingredient­i della competitiv­ità».

Dal governo che cosa si aspetta?

«Di aprire i campi di gara, di evitare gli investimen­ti a pioggia, di non creare un effetto Peron, quello che trasforma i cittadini in sudditi. Milano è al centro di una proposta di futuro, scientific­o, tecnologic­o, umano, aperto e inclusivo. E’ nella sua storia avere grandi progetti. Anche per il Paese».

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