Corriere della Sera

«Attacco chimico» Diario di un medico

Minuto per minuto, così le squadre di Medici Senza Frontiere hanno soccorso i feriti. Il racconto di un capo missione italiano

- Marta Serafini @martaseraf­ini

«Sono in Siria da un anno e tre mesi. E un attacco di quest’entità io non l’ho mai visto». Massimilia­no Rebaudengo, 43 anni, è capo missione di Medici Senza Frontiere in Siria. Parla al telefono. Racconta una giornata — martedì 4 aprile 2017 — in cui sono morte 75 persone a Khan Sheikhoun, nel nord della Siria. Nomi e date che chi ha visto non dimentiche­rà mai. «Un attacco chimico di cui va attribuita la responsabi­lità» per le Nazioni Unite. «Una strage di bambini» per politici e giornali. Ma nel racconto dei dottori non c’è spazio per la retorica del dolore o per il linguaggio diplomatic­o. In guerra a parlare per prime sono le cifre. Numeri che vanno a braccetto con i nomi dei gas usati per sterminare i civili: sarin, agenti neurotossi­ci, cloro, ammoniaca. «Quando nei nostri ospedali arrivano dieci feriti parliamo di mass casualty (afflusso massiccio di vittime, ndr). Martedì è stato diverso. Solo il nostro staff medico ha visto 92 pazienti». Si parte da qui. Poi, Rebaudengo inizia la cronaca.

Ore 8.30

I dottori di Msf dell’ospedale di Atmeh sono stati avvertiti via telefono che c’è stato un attacco. Nella conversazi­one, le fonti avvertono che molto probabilme­nte sono state usate armi chimiche contro i civili. Non è la prima volta che accade. Lo staff di Msf che si trova sul campo— «tutti uomini, tutti siriani» — ha già visto e trattato pazienti intossicat­i dai gas delle armi chimiche. Solo una settimana prima, un ortopedico è morto durante il trasporto dopo essersi intossicat­o curando un paziente a Latamneh colpita da un raid con gli elicotteri.

Passano pochi minuti e lo staff capisce che questa volta è diverso. O, meglio, non è diverso. «È più grave». Da Gaziantep, al confine tra Siria e Turchia, viene coordinata la missione. In meno di due ore dall’attacco — che è iniziato alle 6.50 — cinque medici e tre équipe si mettono in movimento per raggiunger­e gli ospedali nella zona dell’attacco. Si deve decidere in fretta, non c’è spazio per le incertezze. Chi va dove? «Tre medici partono per l’ospedale più grande al confine con la Turchia, quello di Bab el Hawa, una squadra viene inviata all’Atmeh Charity dove si trova tutt’ora e un terzo team va all’ospedale di Hass, più piccolo degli altri».

Il protocollo è sempre il solito, anche in un contesto del genere. Si viaggia sulle ambulanze e sui minivan, mantenendo costanteme­nte il contatto radio con chi coordina la missione. Prima di partire si forniscono le coordinate dell’itinerario. Ma al di là delle regole e delle procedure, chi sale in auto sa molto bene che rischia di morire in qualsiasi momento. «In questa guerra che dura da sei anni, i nostri medici, le nostre ambulanze, i nostri convogli umanitari e i nostri ospedali sono diventati un target militare come un altro».

Tra le 10 e le 11.30

Lo staff raggiunge gli ospedali. Altro protocollo da seguire. «Si indossano le tute integrali, le maschere e i guanti rinforzati e solo allora si possono iniziare a visitare i pazienti che vanno prima spogliati e poi lavati». Il rischio contaminaz­ione è altissimo. Basta un errore e il medico si trasforma in paziente.

L’elenco dei feriti che arrivano da Khan Sheikhoun e visitati da Msf si allunga con il passare delle ore: «Diciassett­e a Bab el Hawa, 8 ad Hass, 35 ad Atmeh». Lo screening dei sintomi è lungo. «Le pupille ristrette, gli occhi infiammati, l’incoscienz­a e l’incontinen­za lasciano presupporr­e l’uso di un agente neurotossi­co che potrebbe essere Sarin». Bambini, donne, vecchi. I pazienti sono di tutte le età, nessuno viene risparmiat­o. «Mancanza di respiro, cianosi e odore di candeggina sulla pelle indicano l’uso di un agente soffocante come il gas clorino», è il primo report stilato dallo staff.

Iniziano anche i primi decessi: «Quattro morti ad Hass, molti di più a Bab el Hawa, di Atmeh non si conoscono ancora le cifre». I sopravviss­uti lottano per respirare, non riescono a raccontare nulla. I bambini che ce l’hanno fatta sono in stato di choc. Due infermieri di Bab el Hawa si contaminan­o. «In tutte le strutture mancano i farmaci, serve atropina, idrocortis­one». Msf dona i medicinali che ha portato.

Ore 21.30

I medici sul campo riferiscon­o via telefono al team di Gaziantep le prime diagnosi. «I sintomi sono coerenti con l’esposizion­e ad agenti neurotossi­ci come il sarin e ad agenti soffocanti come il gas cloro». Sono parole pesate con cura, che l’indomani verranno trasmesse nei comunicati stampa della ong.

Ma non c’è tempo di fermarsi. La squadra all’Atmeh Charity rimane sul campo. Sono appena arrivati altri 35 pazienti, tutti in condizione critiche. Il lavoro da fare è appena iniziato. Intanto, sui telegiorna­li della sera passano le immagini dei piccoli corpi cianotici. Qualcuno si ferma a guardare. Qualcuno tira dritto o cambia canale. La Siria è lontana. O, almeno, così pare.

5 medici e 3 équipe sul campo, bisogna decidere in fretta chi va dove. E va seguito il protocollo anti contaminaz­ione

 ??  ?? Senza pace Un volontario siriano dopo un bombardame­nto nel nord della Siria (Foto Afp)
Senza pace Un volontario siriano dopo un bombardame­nto nel nord della Siria (Foto Afp)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy