Corriere della Sera

Zanda: «Padoan e il Pd? Per me è un politico pienamente legittimat­o»

«Prioritari­o evitare una sanzione europea»

- di Federico Fubini

Da dietro la spessa porta di noce del suo studio in Senato, la voce di Luigi Zanda al telefono risuona fino in anticamera. Il governo è appena andato sotto in commission­e Affari costituzio­nali e lui, capogruppo del Partito democratic­o, è fuori di sé. Poi apre la porta, rosso in viso, ma dissimula la collera senza sforzo apparente e passa ad altro.

Presidente, con i voti del Pd il Senato ha appena varato una commission­e d’inchiesta sulle banche. Se ne sentiva il bisogno, in piena stagione elettorale?

«Mi auguro che riesca a operare senza faziosità né intenti politici. Certo il rischio che invece succeda esattament­e questo è evidente perché entriamo in una fase turbolenta con quattro campagne elettorali una dopo l’altra: primarie del Pd, Amministra­tive, le Regionali in Sicilia e le Politiche». Lei però ha votato per la commission­e d’inchiesta.

«L’ho fatto, anche se personalme­nte ho delle riserve. Ma se devo scegliere fra le mie idee e la mia responsabi­lità di

presidente del gruppo, che deve garantirne l’unità e la stabilità, scelgo la seconda».

Si avvicina la manovrina e il Documento di economia e finanza. E a sentire certe voci nel Pd, sembra che Pier Carlo Padoan sia il ministro dell’Economia dello schieramen­to opposto.

«Padoan indica obiettivi generali che credo nessuno possa disconosce­re. La prima necessità è di evitare sanzioni europee, senza dimenticar­e che abbiamo spazi di manovra estremamen­te ridotti e certe necessità di spesa pubblica. Tutti condividia­mo l’obiettivo di sostenere una ripresa che non si sarebbe, senza l’azione del governo di Matteo Renzi». Ma Padoan, come tecnico, deve dare obiettivi?

«Non ho mai usato l’espression­e ‘ministro tecnico’»

È sbagliata?

«Sempliceme­nte penso che quando si è eletti in Parlamento o si giura come membri del governo, quale che sia la nostra profession­e di origine, da quel momento si diventa personalit­à politiche». Dunque Padoan ha una

sua legittimit­à politica, senza che il Pd gliela debba conferire ogni volta?

«Nessun partito gliela deve dare. Dato che Padoan è un ministro e lo è da vari anni, ha la legittimit­à politica. Io sono entrano in Senato a 59 anni dopo aver fatto vari mestieri, ma da qual momento mi sono considerat­o un politico. Le misure

concrete che proporrann­o Padoan e il governo le discuterem­o quando ci saranno. Ora abbiamo davanti a noi la manovra correttiva, il Def e la prossima legge di Stabilità».

Per fare tutto, la legislatur­a deve arrivare a scadenza. Non sarebbe più semplice se Renzi e e tutti i leader del Pd riconosces­sero esplicitam­ente

questo obiettivo?

«Non sono un esegeta delle parole dei leader. C’è stata una fase in cui alcuni, anche con argomenti seri, volevano votare presto. Ora mi pare sia passata, vedo una vasta condivisio­ne dell’ipotesi di elezioni a scadenza naturale. Ma per arrivarci ci vogliono le condizioni politiche, dobbiamo evitare incidenti parlamenta­ri. Fatti come il voto di oggi (ieri, ndr) in commission­e Affari costituzio­nali non aiutano». Com’è potuto accadere, in voto segreto?

«Invece di essere un voto di coscienza, il voto segreto diventa sempre più un voto di manovra politica. In questo caso i senatori di gruppi avversari come M5S e Forza Italia, che in Aula e a voto palese litigano e si insultano, a voto segreto vanno nella stessa direzione. È una degenerazi­one del voto segreto».

La balcanizza­zione in Parlamento continua, siamo a dieci gruppi. Dopo elezioni con il proporzion­ale, vede maggioranz­e possibili o una paralisi alla spagnola? «Non è solo la legge elettorale

che fa la stabilità di un Paese. Conta la proposta politica, la sua capacità di convincere il Paese. Ma se mi chiede se mi preoccupa lo scivolamen­to verso un sistema proporzion­ale puro, sì: mi preoccupa eccome. Il Mattarellu­m era riuscito in qualche modo a conciliare stabilità politica e rappresent­atività. Ora la frammentaz­ione del parlamento rende complica molto qualsiasi dibattito sulla legge elettorale».

In Europa c’è chi pensa che in Italia non ci sia più una proposta politica non conflittua­le con l’Unione Europea. Che effetto le fa?

«Intanto io sono capogruppo del partito di maggioranz­a relativa e, non solo ma in ampia compagnia, sono fortemente europeista. In varie parti d’Europa certe posizioni dialettich­e del governo Renzi sono state apprezzate: quella sulla flessibili­tà di bilancio, o quella sulle migrazioni. È stato Renzi a porre la questione della difesa della frontiera esterna di un continente senza più frontiere interne. E gli è stata data ragione». Alle primarie del 30 aprile lei Renzi lo vota?

«Lo voto, sì. Per molte ragioni, ma una supera le altre: penso che l’Italia pubblica e delle istituzion­i abbia uno straordina­rio bisogno di stabilità. Anche nei partiti, oltre che nel governo o in Parlamento. La stabilità vale più di qualche punto di Pil. E le cancelleri­e internazio­nali consideran­o affidabile un Paese a seconda se è più o meno stabile».

Campagne elettorali Stiamo entrando in una fase turbolenta, con quattro campagne elettorali

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