Corriere della Sera

La «ritirata» di Theresa May sulla Brexit

- Di Luigi Ippolito

La ritirata è cominciata. Una settimana fa la Brexit era stata lanciata tra grandi fanfare e grida di giubilo nazionalis­te. Ma è bastato che l’Unione Europea mettesse in chiaro che ci sono delle linee rosse invalicabi­li per indurre il governo di Londra a più miti consigli. Su due punti in particolar­e Theresa May ha fatto capire di essere pronta a un compromess­o. La richiesta iniziale dei britannici era che le trattative sui termini del divorzio andassero di pari passo con i negoziati sulla futura relazione fra il Regno Unito e la Ue. Il Consiglio europeo ha invece stabilito che Londra potrà firmare un patto commercial­e con Bruxelles solo in quanto Paese terzo, cioè dopo aver lasciato formalment­e l’Unione. Ora Theresa May sembra concedere che fra due anni si potranno solo schizzare i contorni dei rapporti futuri e che sarà necessario un lungo periodo di transizion­e prima che un accordo finale venga formalizza­to. Ma il punto forse più importante è il secondo. Londra aveva sempre detto che il nocciolo della Brexit consisteva nel riprendere il controllo delle frontiere, ossia limitare l’immigrazio­ne dagli altri Paesi Ue. Ora Theresa May ammette che gli europei potranno

continuare a entrare liberament­e in Gran Bretagna per diversi anni dopo l’uscita dalla Ue. Anche sulla questione del «conto del divorzio» il governo riconosce che dovrà pagare un prezzo sostanzial­e alle casse europee, mentre i fautori della Brexit avevano promesso un dividendo di 350 milioni per il servizio sanitario nazionale. Questa marcia indietro generalizz­ata, seppur dettata dal realismo, rischia di essere pericolosa per May: nel partito conservato­re e nel governo sono in molti quelli che continuano a sognare una rottura netta con l’Unione Europea. Il nuovo pragmatism­o della premier potrebbe alimentare una retorica della «Brexit tradita»: e la sua maggioranz­a in Parlamento è sottile.

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Premier Theresa May, 60 anni

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