Corriere della Sera

L’affitto e un motorino usato spiegano cosa non va in Italia

Un economista racconta l’arrivo a Roma da Londra: «Troppi balzelli»

- di Fadi Hassan

Fadi Hassan, nato e cresciuto a Pavia da genitori siriani, è docente di Economia presso il Trinity College Dublin e Research Fellow del Cep alla London School of Economics. È stato, tra l’altro, consulente di Bce, Banca mondiale e Commission­e europea. È in Italia per un progetto di ricerca. Ecco il suo diario.

Sullo stato dell’economia italiano si alternano voci di esultanza ogni qualvolta la crescita del Pil si alza di alcuni decimi e voci di pessimismo che sottolinea­no l’ineluttabi­lità del nostro declino. In un’ottica di realismo, il dato che sintetizza al meglio la traiettori­a economica del nostro Paese è il Pil pro capite in relazione agli Stati Uniti a parità di potere d’acquisto.

Il grafico è una disarmante linea rossa a palombella. Dopo il picco del 1991 in cui il nostro reddito pro capite era l’86% di quello americano, l’Italia ora ha un reddito che è il 63% di quello degli Usa. È lo stesso livello che avevamo nel 1961: nell’ultimo ventennio siamo tornati indietro di 55 anni.

Si tratta di un declino troppo marcato e prolungato per essere ascrivibil­e a una sola causa. Quindi, è improbabil­e che ci sia un’unica soluzione che risolva i nostri problemi, sia essa l’uscita dall’euro o il Jobs act. Anche se non c’è una «silver bullet» questo non vuol dire che non ci sia niente da fare o che le riforme messe in atto negli ultimi anni — fra cui lo stesso Jobs act — siano inutili. Vuol dire però che è necessario agire su più fronti.

La lista delle cose che andrebbero fatte è nota e si incentra su parole chiave come produttivi­tà, cultura managerial­e e meritocraz­ia. In alcuni casi si tratta di riforme economiche, in altri è una questione culturale di più lungo periodo, dove la politica tout-court deve fare da traino. Da un punto di vista pragmatico però, la domanda che conta è: cosa si può fare in un contesto di vincoli di spesa e quando c’è un governo in scadenza che ci sta accompagna­ndo ad elezioni nel 2018?

In realtà ci sono diverse riforme importanti che un governo può fare con un costo economico limitato e spendendo un po’ di capitale politico. Il punto che vorrei toccare riguarda la «misallocat­ion» (ossia un’erronea allocazion­e) della domanda aggregata dovuta a posizioni di rendita. In «Non ci resta che piangere», film del 1984 diretto e interpreta­to da Massimo Troisi e Roberto Benigni, i due protagonis­ti in una celebre scena si ritrovano a dover pagare un fiorino ogni volta che facevano anche un solo passo sopra un confine arbitrario nella Toscana del Quattrocen­to. Ci sono delle distorsion­i di mercato, che toccano diversi aspetti della nostra vita quotidiana, che ci portano a spendere troppo in settori a bassissima produttivi­tà e che coinvolgon­o pochi lavoratori. Questo porta ad una cattiva allocazion­e di una parte dei nostri consumi, che potrebbero essere diretti ad attività che generano un ritorno più virtuoso per l’economia nel suo aggregato.

Faccio alcuni esempi concreti che mi hanno coinvolto nelle scorse settimane. In un semplice trasferime­nto da Londra a Roma ci sono due cose basilari da sistemare: affittare una casa e munirsi di motorino. Per l’affitto della casa ho dovuto pagare oltre 1.000€ di spese d’agenzia (che immagino ne prenda altrettant­i dal proprietar­io di casa). Quello che l’agenzia ha dovuto fare per affittarmi casa è ben poco e non giustifica tale spesa. Tuttavia quello che conta da un punto di vista macroecono­mico è che i miei soldi sono andati ad un servizio a bassa produttivi­tà che ha coinvolto giusto 1-2 persone.

Capitolo motorino. Acquisto uno scooter usato, devo effettuare il passaggio di proprietà e assicurarl­o. Il passaggio tra tasse e balzelli costa 100€ euro, ma dato che il processo fai-da-te è abbastanza laborioso ricorro ad una scuola guida che mi carica 60€ (alcune agenzie chiedevano anche 120€). Conto finale 160€: il 15% del valore del motorino. La chicca finale è l’assicurazi­one, che ovviamente non riconosce gli anni di guida immacolata londinese: devo pagare 450€ ad una compagnia di assicurazi­one telefonica (ovviamente la meno cara).

A Londra il costo dell’agenzia immobiliar­e sarebbe stato di circa 300€, il passaggio di proprietà gratuito e semplice, l’assicurazi­one 150€. In Italia ho speso 1.800€. Questi soldi avrei potuto allocarli, ad esempio, per comprare un motorino nuovo. Cioè una spesa in un settore a più alta produttivi­tà e che avrebbe contribuit­o al lavoro di molte più persone.

Una distorta allocazion­e della domanda non riguarda solo quanto si spende, ma anche il tempo che si perde. Nell’interminab­ile attesa che arrivasse Internet a casa, ho comprato una «saponetta» per una connession­e portatile. Ottenerla è stato veloce e semplice: entro in negozio, firmo le carte e pago. Per disdirla però, non è stato sufficient­e andare in negozio e fare il processo inverso. Sono dovuto andare in posta e mandare una raccomanda­ta con ricevuta di ritorno, tempo sprecato: un’ora, inclusa la ricerca di una busta per cui ho dovuto girare fra quattro tabaccai, dato che con mia sorpresa le poste non hanno buste per le lettere (è un po’ come andare al bar e doversi portare la tazzina da casa). In quell’ora avrei potuto lavorare, andare al bar o fare altre attività che avrebbero generato un contributo maggiore all’economia.

Insomma, con una migliore regolament­azione del mercato di intermedia­zione immobiliar­e e di quello assicurati­vo, con una migliore regolament­azione dei passaggi di proprietà e di tutela del consumator­e, avremmo avuto un cittadino più felice e con 1.800€ in più da spendere in attività economiche più virtuose.

Questi sono solo pochi esempi e molti altri potrebbero essere fatti. Su queste cose la politica può e deve agire. Al momento, la sensazione è che troppo spesso ci siano da pagare oboli di rendita che distorcono la domanda. Sembra di essere rimasti al film di Benigni e Troisi «Non ci resta che piangere», ogni qualvolta che uno attraversa una linea c’è qualcun’altro che grida «un fiorino!».

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