IL BLOCCO SOCIALE DI TRUMP È UN PUZZLE DA RICOMPORRE
Cambiamenti Gruppi molto diversi, non ancora sul punto di coalizzarsi, ispirano le decisioni del presidente: libero mercato e anche protezione da ciò che sta al di fuori
Da quello che si sa, l’avventura che ha portato Trump alla Casa bianca è cominciata sotto il segno di una buona dose di improvvisazione. Quasi che la sua linea politica si sia costruita strada facendo, in base alle situazioni, agli interlocutori, alle convenienze del momento.
Ma oggi, avvicinandosi la metà dei primi 100 giorni, si scopre che l’America di Trump non è una fake news. Nonostante gli errori grossolani e le improvvisazioni quotidiane, le ambizioni del neo presidente vanno ogni giorno di più delineandosi: ridisegnare gli equilibri profondi della società americana.
Ad oggi, è ancora molto difficile pensare che la sua scommessa possa avere successo. Ma la partita che si sta giocando è tutto salvo che banale.
Lo si capisce dall’accanimento con cui una parte del potere reale americano (media, accademia, mondo dello spettacolo, finanza) sta cercando di resistergli. Con il New York Times in testa, la pista battuta per cercare di scalzare il presidente eletto ha a che fare con le «relazioni pericolose» con la Russia di Putin. E molti sono convinti di potercela fare: proprio qualche giorno fa, la richiesta da parte dell’ex consigliere per la sicurezza, il falco M. Flynn, di testimoniare in cambio dell’immunità ha galvanizzato gli oppositori, convinti che qualcosa di importante possa presto accadere. Lo scontro è apertissimo e si vedrà come andrà a finire.
Dal punto di vista socio-politico, però, la sfida di Trump va avanti. La sua azione punta decisamente a coalizzare tre segmenti della società americana arrivando alla costruzione di un vero e proprio blocco sociale in grado di orientare il futuro del più importante Paese del mondo per molti anni a venire. Il primo segmento è costituto dagli interessi economici più tradizionali.
La decisione di portare a 54 miliardi di dollari nel 2018 le spese militari (+9%) e il favore fatto all’industria del carbone con l’abrogazione delle leggi ambientaliste volute da Obama danno chiaramente la linea. Così come il primo atto di quella che potrebbe diventare una vera e propria lotta commerciale, con l’introduzione di dazi pesantissimi su una serie di prodotti. In questo modo, il presidente si schiera a favore di quella parte dell’economa americana che non si è mai riconosciuta con la new economy, considerata troppo
modaiola e alla fin fine improduttiva.
Questo primo segmento ha forti tangenze con i gruppi religiosi ostili alla fortissima corrente culturale che in questi anni ha attraversato la società americana, tutta centrata sui temi dei diritti individuali, dell’aborto, del gender, della procreazione assistita: le chiese più conservatrici sono convinte che non ci sia tempo da perdere e che Trump sia l’uomo giusto per combattere la deriva culturale che Obama avrebbe legittimato, mandando in pochi anni in frantumi buona parte dei valori tradizionali.
Il terzo e ultimo segmento è costituito da quella larga parte di cittadini — per lo più appartenente al ceto medio e medio-basso — che semplicemente si è stancata della nar- razione sulla globalizzazione. Il continuo declino del benessere disponibile, le aspettative di vita calanti per nuove generazioni, i problemi di sicurezza nella vita urbana spingono questi gruppi (specie se bianchi) a chiedere di essere protetti contro tutto e contro i tutti. Nella speranza di potere presto ottenere una percentuale di quella nuova prosperità che ci si immagina così di tornare a creare. E nell’attesa di poter godere dei futuri benefici economici, ce la si prende con gli immigrati, che diventano il collante perfetto per aggregare attorno ad un bersaglio comune interessi assai diversificati.
Questa inedita alleanza sociale — molto diversa da quella creata da Reagan e ereditata da Clinton, lontanissima da quella immaginata da Obama — non ha ancora la forza per compattarsi. Ma l’ipotesi del presidente è che ciò possa presto accadere attorno ad un disegno neomer-cantilista, che mescola la fede nel libero mercato e nella libera iniziativa con la protezione nei confronti di tutto ciò che sta al di fuori della comunità nazionale.
Una alleanza che ha nel risentimento contro le forze considerate ostili — come certifica la politica anti immigrazione — e nell’antico convincimento che la produzione della ricchezza comporti, necessariamente, lo sfruttamento sistematico delle risorse disponibili (umane, ambientali, tecnologiche) i suoi punti di forza e di aggregazione. Laddove dovesse avere successo un tale disegno è destinato a produrre un enorme impatto sulla società americana. Con implicazioni di vasta portata anche sul piano internazionale.
Di sicuro, tutto è in movimento: mai come oggi, il vento della storia sembra soffiare tra le pieghe della bandiera a stelle e strisce.
L’obiettivo Ogni giorno appare più chiaro: ridisegnare gli equilibri profondi della società americana